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Dodici parole chiave per il futuro al Festival dei Festival

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Festival dei Festival

 

 

Forse la democrazia non è adatta per prendere decisioni rivoluzionarie? In un’Italia stordita dalla violenza verbale, dall’incertezza e dall’incompetenza sbandierata come un vanto è possibile “Rafforzare la democrazia e migliorare il dibattito pubblico”? Partendo da dodici parole chiave per il futuro e con questo titolo promettente, i rappresentanti di otto Festival – uniti da un denominatore comune, produrre senza sfruttare – si sono riuniti nel Festival dei Festival per studiare insieme come valorizzare il sistema socio-economico italiano. Otto Festival e dodici parole chiave (competenza, democrazia, economia civile, fiducia, generatività, green economy, inclusione, partecipazione, soddisfazione di vita, sostenibilità, sussidiarietà, uguaglianza/pari opportunità) per dimostrare che esiste la possibilità di una crescita felice realizzabile anche grazie alle nuove tecnologie, ma sempre nel segno della democrazia e del rispetto.

 

Oggi si avverte una pericolosa distanza tra le persone e le istituzioni. Per Rossella Muroni (deputata LeU e Commissione Ambiente della Camera dei Deputati) «la mancanza di competenze e di umiltà è alla radice dell’asprezza del dibattito attuale; i Festival rappresentano una fucina di competenze diverse che assecondano la grande richiesta di partecipazione che arriva dalla società». L’Italia ha grandi potenzialità a livello territoriale anche in una situazione di grave crisi come quella attuale, ma è indispensabile mettere in relazione istanze e competenze diverse. Manca purtroppo una visione: magari ci si chiede come sarà l’Italia tra 20 o 30 anni, ma restano parole che non si traducono in progetti di legge lungimiranti. È possibile una visione di futuro con connotazioni non solo negative? L’idea degli otto Festival di mettersi in rete è sicuramente un primo passo molto positivo. Alle dodici parole chiave per il futuro, Rossella Muroni aggiunge coraggio, per riconoscere le nostre potenzialità e identificare i modi per realizzarle.

 

Forse non tutti sanno quanti festival ci sono oggi in Italia, segno di un grande potenziale, ha sottolineato il portavoce dell’Asvis Enrico Giovannini (Festival dello Sviluppo Sostenibile), tra i promotori di questo Festival dei Festival, un’iniziativa aperta e in evoluzione, come le dodici parole chiave per il futuro: nel 2020, infatti, ne verranno scelte altre. «Definiamo una carta dei valori e puntiamo ai giovani, che nei nostri festival sono ancora pochi. Vogliamo migliorare il dibattito democratico, ma soprattutto proponiamo un’economia diversa da quella attuale, non etica né sostenibile, che ha distrutto il pianeta e aumentato le disuguaglianze». Cambiare il modello economico significa rispettare l’ambiente, ma soprattutto dare nuove risposte sociali. «La decrescita felice non è la risposta giusta, ma lo è lo sviluppo sostenibile. Da qui dobbiamo partire per un mondo migliore da lasciare ai nostri ragazzi». Come veicolare questi messaggi positivi quando troppo spesso la comunicazione, sia a mezzo stampa che social, inasprisce il confronto? La gente legge sempre meno, ma chi legge ha una percezione più reale dei problemi e sviluppa un proprio spirito critico: per questo i giornalisti possono fare la differenza nel tono e nello stile del dibattito. Dall’esigenza di un’informazione corretta nasce la proposta di Giovannini di mettere a disposizione su una piattaforma accessibile a tutti le conclusioni di questi incontri: un vero e proprio megafono delle tante, belle idee che emergono da confronti composti e alla pari. Ma cosa significa nello scenario attuale e in una prospettiva futura la messa in rete di questi otto Festival? Enrico Giovannini lo spiega a Rinnovabili.it.

Enrico Giovannini Asvis, intervista

 

Il Festival della Partecipazione – promosso da ActionAid e Cittadinanzattiva con il contributo di SlowFood e la collaborazione del Comune dell’Aquila – nasce per dare risalto all’associazione di realtà diverse dove i cittadini hanno un ruolo attivo come interlocutori delle istituzioni, sono agenti del cambiamento, ovvero una condizione per la democrazia, hanno spiegato Annalisa Mandorino e Marco de Ponte: fare permette di parlare con cognizione di causa e trovare occasioni e luoghi di dibattito che non siano solo la piazza.

 

Mauro Magatti (Festival della Generatività) ha l’impressione che «siamo entrati nel nuovo secolo senza le coordinate, ma nessuno si salva da solo, confronto e partecipazione sono indispensabili». Quante volte ci siamo resi conto che la società è più avanti della politica? C’è una vivacità che va ascoltata e messa a regime, secondo un principio di generatività sociale, che può riguardare un progetto, un’impresa, una relazione, ma è sempre portatrice di positività. Essere generativi, spiega Magatti, significa mettere al mondo e prendersi cura di quanto generato per farlo crescere, e poi lasciarlo libero di andare.

 

«Perché non pensiamo a una comparazione tra le migliori politiche del lavoro?», suggerisce Emmanuele Massagli (Adapt International Conference). «Dobbiamo mettere i giovani under 30 al centro: in quella fase della vita non c’è dogmatismo, ma entusiasmo, e dobbiamo credere nella formazione come un fattore di competitività e di crescita».

 

Ermete Realacci (Festival della Soft Economy) ha portato ad esempio la sua esperienza con i giovani, che si sono appassionati a discutere di green economy. «Si parla sempre dell’economia americana come hard power, mentre di quella europea come soft power. Ma se osserviamo con occhi nuovi, il soft power non si sta dimostrando più forte dell’hard power?». Le soft skills non sono forse un valore aggiunto? Citando Antoine de Saint-Exupéry, Realacci ha concluso dicendo che “il lavoro più bello dell’uomo è quello di unire gli uomini”. Esattamente quello che accade in questi Festival, di cui ha sottolineato l’importantissimo ruolo sociale: muovono riflessioni, idee e persone.

 

Alessandro Rosina (Mappa Celeste, Festival per il futuro del Paese) ha ricordato che proprio un anno fa le elezioni politiche sono state contrassegnate da rancore, rifiuto del nuovo, divisione: segni di un malessere che spinge ad agire sempre in difesa. L’ipersemplificazione è sembrata una rassicurazione. Invece la complessità va interpretata, va spiegata per portare le persone a fare delle scelte migliori. Gli otto Festival con le dodici parole chiave per il futuro propongono una narrazione positiva. «La vera sfida nel mondo che cambia è mettersi continuamente in discussione: nei Festival c’è la gioia di trovarsi insieme per individuare soluzioni positive, aperte alla speranza. La nostra Mappa Celeste rappresenta le stelle che illuminano la notte per descrivere nuove mappe di percorso verso il futuro, e la demografia può contribuire a leggere il futuro attraverso le nuove generazioni».

 

Paolo Venturi (Le giornate di Bertinoro per l’Economia Civile) sostiene con decisione l’importanza di unire le diversità per dare vita a un nuovo modello di sviluppo. L’idea di valore dei giovani è legata a nuove forme di economia sociale: l’economia civile mette al centro i beni relazionali creando rapporti di fiducia che generano sviluppo, e tiene insieme elementi diversi che hanno obiettivi comuni (come può essere il caso di pubblico+privato) generando grandi occasioni trasformative.

 

«Noi dei Festival abbiamo un ruolo comune – ha detto Leonardo Becchetti (Festival Nazionale dell’Economia Civile) – dobbiamo produrre anticorpi in un paese malato che dà sempre al altri la colpa dei propri problemi. Senza anticorpi le cure non funzionano». Ha definito gli italiani “kennediani alla rovescia”, che invece di chiedersi cosa possono fare per il loro paese si chiedono cosa possono prendere dal loro paese. Becchetti ha sottolineato che «l’economia civile è un bene pubblico, ovvero al servizio di tutti» e ha denunciato il circolo vizioso tra comunicazione e politica. Oggi aggressività, pettegolezzo, ricerca ossessiva del leader pervadono e inquinano la comunicazione: invece occorre ridare spazio e valore al dialogo, al dubbio, all’approccio critico ai problemi, alla partecipazione. «Noi dei Festival – ha detto Becchetti ricordando le dodici parole chiave per il futuro – vogliamo bonificare il confronto perché solo così sarà possibile salvare la politica. Vogliamo operare secondo una logica che chiamiamo 1+1=3, vale a dire che quando si coopera e c’è inclusione, il risultato è sempre superiore e migliore rispetto a quanto si può fare da soli».

 

«Oggi non si ascolta, dai social emerge un’Italia incattivita e volgare», osserva Marco Tarquinio (direttore di “Avvenire”). Ma c’è anche un’altra Italia, piena di energie positive, che parla di partecipazione, di approfondimento e di fraternità a cui “Avvenire” vuole dare voce. È un’Italia che preferisce la proposta all’imposizione, che domina nella politica odierna. «In questi Festival ci sono cammini convergenti svolti in libertà e autonomia. Oggi assistiamo alla rottura della fraternità dentro e fuori dall’Italia: fermiamo questa deriva per ridare forza alla narrazione positiva del Paese, che c’è e merita più spazio». “Avvenire” ci prova, è in un certo senso una voce fuori dal coro che – a fronte dell’innegabile crisi della stampa – si piazza al 4° posto tra i quotidiani più venduti. Forse non è un caso.

 

Senza dialogo e innovazione non si va da nessuna parte, ha affermato il sottosegretario al Miur Lorenzo Fioramonti. In un mondo che cambia è necessaria la sperimentazione di nuovi modelli di interazione che portino a soluzioni condivise e realizzabili, e che soprattutto facciano uscire dai dibattiti urlati. «È indispensabile ricostruire la cultura civica»: per questo mette a disposizione il Miur per aprire le scuole al dibattito sul futuro e lavorare insieme al Festival dei Festival. «Le scuole sono rimaste ferme nel tempo: è arrivato il momento che tornino ad essere agorà».

 

 

 

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