Attorno alla ristorazione si gioca buona parte della credibilità di un Grande Evento che ha l’ambizione di definirsi sostenibile. Dalla filiera di provenienza degli alimenti, alla distanza dai punti di approvvigionamento, dalle tecniche di conservazione a quelle di imballaggio e per finire alla produzione di rifiuti, tutto quello che riguarda la ristorazione non può che riguardare anche l’ambiente e la possibilità di intaccare irrimediabilmente un ecosistema.
Per capire la dimensione di Londra 2012, dal punto di vista alimentare, forniamo qualche dato: è previsto che durante i Giochi saranno serviti oltre 14 milioni di pasti in 40 diversi luoghi di smistamento (per non contare l’indotto legato agli spettatori in alberghi e ristoranti della zona); circa 1,2 milioni di pasti verranno preparati esclusivamente per circa 25.000 persone legate direttamente alle attività sportive, tra atleti e personale al seguito. Si tratta della più grande operazione di catering che l’uomo ricordi in tempo di pace.
Tutta questa massa enorme di cibo da dove viene, come verrà gestita, quanta parte sarà consumata e quanta invece finirà per ingrossare le discariche? E gli imballaggi, la CO2 prodotta per gli spostamenti delle derrate, l’energia utilizzata per la conservazione, ecc…
Il Comitato organizzatore di Londra 2012, in nome del principio di Olimpiadi sostenibili, sin dall’inizio si è posto il problema dell’alimentazione e di come renderla compatibile con l’ambiente. Le risposte fornite sono in qualche modo impressionati, se non altro per l’ambizione di riuscire a rendere questo appuntamento l’occasione per rilanciare a rivedere il sistema di approvvigionamento nazionale. In questo (come in altri aspetti della vita britannica), le Olimpiadi di Londra si candidano ad essere quelle a grande impatto, ovvero capaci di modificare nel profondo l’aspetto e le abitudini della comunità.
A fine maggio il Comitato Organizzatore (LOCOG) ha fatto il punto su quanto realizzato, specificando che l’ambizione di ripensare il sistema alimentare è stato da subito uno dei punti nodali di tutta l’operazione Olimpiadi-green.
In linea con le dichiarazioni di principio, tutta la frutta, la verdura, i cereali, il latte, la carne (in particolare agnello, maiale e pollame) utilizzato nelle strutture che serviranno i pasti in occasione degli eventi sportivi sono Red Tractor, un sistema di certificazione britannico sul cibo che garantisce la sostenibilità nella filiera di produzione, dalla qualità al rispetto degli animali, all’utilizzo di prodotti chimici. Per quanto riguarda la fornitura di pesce (uno dei cibi base di innumerevoli piatti britannici), è assicuratoil rispetto delle indicazioni provenienti dalla MCS (Marine Conservation Society) e del codice di condotta della FAO per una pesca responsabile. Curiosamente gli organizzatori hanno ammesso che queste cautele non saranno applicate alla fornitura di calamari; una concessione al gusto o al mercato?
Banane, tè, caffè, zucchero e vino sarannodel Commercio equo e solidale o di produzione inglese così come i formaggi, tutti rigorosamente anglossassoni. Stessa sorte per le uova (BritishLion) e per il cioccolato (commercio equo e solidale).
Assicurata la provenienza “etica e sostenibile” dell’ingente mole di derrate alimentari, il LOCOG si è preoccupato degli imballaggi e dei rifiuti. Abbiamo già detto della vision di realizzare Giochi a “rifiuti zero”. In base a questa ambizione è stato previsto un programma di riciclo e smaltimento (WRAP). Durante i Giochi i rifiuti prodotti in occasione delle gare e nei luoghi pubblici saranno differenziati in tre generi, rappresentati da icone colorate presenti sui contenitori e sugli stessi imballaggi: riciclabile; alimenti e imballaggi compostabili; non riciclabili.
Che dietro questo sforzo di razionalizzazione dei flussi non si nasconda soltanto un’apparenza lo si è capito anche dal lavoro diplomatico realizzato dal Comitato Organizzatore. In base al principio che ogni azione ha un valore se diventauno stile di vita, si sono attivati contatti con il settore della ristorazione anche non direttamente legato alle Olimpiadi. La risposta è stata entusiasta. London 2012 Food Vision verrà realizzato anche da diversi enti e organizzazioni come il National Trust, London Zoo, 15 università, la Metropolitan Police, Transport for London e una vasta gamma di ristoranti e catering, che servono oltre 100 milioni di pasti l’anno.
Paul Deighton, amministratore delegato del Comitato organizzatore, ha avuto modo dichiarare: “Siamo orgogliosi che il settore della ristorazione britannico non ha tardato ad adottare gli standard della nostra Vision; lasciamo un settore forte e sostenibile come eredità dei Giochi.”
Tra i main sponsor delle Olimpiadi figurano colossi dell’alimentazione come Coca Cola e McDonal che difficilmente riusciranno a darsi una parvenza di sostenibilità anche attraverso l’adesione a questa vision. Del resto il loro impegno nel progetto appare quanto meno residuale, visto che la Coca Cola, fornitrice di tutte le bevande dei Giochi, si è limitata a comunicare che il 75% delle bevande vendute sarà acqua, socchi di frutta e bevande senza zuccheri. McDonald funzionerà in quattro ristoranti: uno nel villaggio degli atleti, un altro per i media nel Main Press Centre e due nel Parco Olimpico per gli spettatori. Nessun altra dichiarazione di principio o impegno concreto da parte dei due colossi. Nulla riguardo ilprosciugamento dei pozzi, la privatizzazione dell’acqua(Coca Cola), la scomparsa delle foreste originali, le diete ipercaloriche e l’obesità (McDonald) di cui i due colossi sono accusati.
Londra 2012 fa sul serio, ma i suoi partner?