di Daniela Martinelli e Francesco Pigozzo
Partiamo proprio dalla parola: da dove viene, che storia ha, quanto è “traducibile” in altre lingue e con quali sfumature di significato differenti? Approfondire l’etimologia, comparare i sistemi di significato delle lingue umane, sono potenti strumenti di apprendimento e di esplorazione del mondo: vi proporremo di adottarli per ciascuno dei concetti che discuteremo in questa sezione. Sarà uno dei modi per imparare a pensarli da più punti di vista.
Alla radice di un concetto
Energia, énergie, energy, energía, Energie, энергия… in tutte le lingue europee vive, c’è un’aria di famiglia quando si parla di energia. Si tratta della radice indoeuropea *werg’-/worg’, che dà in greco ἔργον da cui ἐνέργεια di cui “energia” non è che la traslitterazione latina. Quella radice significa “opera, lavoro”: risalgono infatti a essa anche le forme work e Werk dell’inglese e del tedesco. Si capisce allora che la fisica fondamentale usi il termine energia per denominare la “capacità di un sistema di compiere lavoro”.
Ma si può allargare la riflessione al di là della famiglia indoeuropea… Ad esempio in un vocabolario di cinese (mandarino semplificato) potrete trovare che “energia” è reso con 能源 (fonte/origine di possibilità), oppure nel contesto tecnico del linguaggio della fisica con 能量 (quantità di possibilità).
Quando l’energia è a zero, in effetti, anche le possibilità lo sono… L’energia è ciò che rende possibile. Forse non lo avevate mai notato, ma quello che afferma la Costituzione italiana all’articolo 1 rinvia a una verità più profonda di quanto si è soliti pensare: vale infatti tanto per i sistemi sociali quanto per quelli fisici e per quelli biologici l’idea che si fondano sul lavoro – cioè sull’energia disponibile e sulla capacità di utilizzarla.
Narrazione e fatti
Ciascuno di quei sistemi cambia, infatti, al cambiare non solo della quantità ma anche della qualità di energia che è in grado di riconoscere e impiegare: si potrebbe dire che la loro storia, cioè le vicende effettive della loro esistenza – i possibili realizzati – si sviluppa in stretta connessione con la storia dell’energia.
Sì perché l’energia ha una storia e fa la storia: nell’universo, nella biosfera, nella biografia della specie umana e delle sue varie articolazioni comunitarie, il “lavoro possibile” è una determinante fondamentale di tutto ciò che accade.
Secondo le leggi della termodinamica l’energia non si può né creare né distruggere (conservazione dell’energia) ma al contempo non cessa di trasformarsi e, nel contesto dell’universo (se lo consideriamo come “sistema isolato”), non cessa di tendere verso forme meno “utilizzabili” e più “caotiche” (entropia). Per comprendere a fondo questi concetti servono naturalmente la fisica, la chimica e la matematica. Ma noi qui vorremmo semplicemente riflettere sul fatto che c’è una storicità dell’energia: c’è un prima e c’è un dopo nel suo utilizzo, e questo prima e questo dopo concorrono a tracciare una traiettoria dell’universo nel tempo.
E vale anche per gli esseri viventi che lo abitano. La storia della vita sulla Terra è anche una vicenda di trasformazioni energetiche: metabolismo, dal greco “trasformazione” (metabolé), è un concetto centrale per la biologia. L’intera biosfera del nostro pianeta si regge su un fondamento metabolico primario: la capacità degli organismi vegetali di trasformare l’energia luminosa proveniente dal sole in nutrimento e scarti che modificano l’atmosfera. Il metabolismo di funghi e animali è strettamente interdipendente con quello delle piante.
Ma, tra gli animali, è anche proprio la nostra storia specifica di Homo Sapiens che può essere riletta all’insegna dell’energia, nel doppio senso fisico-chimico e biologico-metabolico. All’interno della famiglia ominide, la nostra specie risulta emersa circa 200.000 anni fa. La sua popolazione ha conosciuto due momenti decisivi di crescita nella biosfera: in entrambi i casi, si è trattato di salti di qualità e quantità di energia disponibile sia dal punto di vista del funzionamento interno del corpo umano, attraverso una maggiore stabilità e abbondanza nutrizionale, sia dal punto di vista della capacità produttiva, attraverso lo sfruttamento di lavoro altrui (animali, macchine). Il primo fu il passaggio dalle pratiche dei cacciatori-raccoglitori a quelle dell’agricoltura e allevamento attorno a 12.000 anni fa; il secondo fu l’avvento e la progressiva globalizzazione della società termo-industriale, negli ultimi duecento anni.
Scopi ed Energia
Ma c’è una potenzialità che noi esseri umani abbiamo sviluppato nel nostro percorso evolutivo: negoziare consapevolmente tra diversi usi possibili dell’energia, cioè provare a incidere sulla dinamica storica da cui dipendono le nostre vicende individuali e collettive. Poter scegliere che cosa fare dell’energia potrebbe sembrare inutile, se vivessimo in un mondo che ci offre energia infinita, di facile accesso per tutti e il cui utilizzo fosse per di più privo di effetti collaterali. Ma sarebbe lo stesso essenziale, invece, perché il fatto di avere disponibilità energetica, non è sempre detto che offra vantaggi allo sviluppo umano: ogni disponibilità “illimitata”, vera o presunta che sia, diminuisce la nostra capacità di riconoscere problemi, di selezionare alternative, di rivedere le priorità tra differenti scopi e obiettivi.
Possiamo capirlo già alla scala individuale. Ad esempio, se non ho problemi di deambulazione o carichi particolarmente pesanti, fare le scale per uscire o rientrare a casa sarebbe sempre conveniente per la salute del mio corpo: ma la disponibilità di un ascensore mi inviterà ogni volta a risparmiarmi quella fatica. E non è detto che ciò sia un bene per me alla lunga…
Così alla scala collettiva globale, se anche domani riuscissimo realmente ad accedere a una fonte energetica sostanzialmente infinita in termini di quantità disponibile e di durata, ciò non toglie che dovremmo comunque domandarci a quali scorciatoie pratiche e potenzialmente dannose a lungo termine tale opportunità ci induce… D’altronde l’energia è un requisito essenziale anche per farsi la guerra!
Limiti ed Energia
In ogni caso, il problema non si pone e la realtà di fatto non ci lascia scampo: l’energia, la facilità di accedervi e la capacità di sfruttarla sono, per la civiltà umana attuale, intrinsecamente limitate. Non solo: i sottoprodotti del suo utilizzo nelle varie forme in cui si presenta condizionano in modo non controllabile gli equilibri del sistema-Pianeta stesso. In una realtà del genere, avere capacità di scelta e azione collettiva diventa vitale. Solo che il sistema economico, istituzionale e sociale che ereditiamo oggi funziona da parecchi decenni come se non ci fossero limiti. E adesso che invece ci troviamo a toccarli con mano, e iniziamo a pagare il prezzo di averne già superati diversi, molta parte delle energie del sistema sembra ancora dedicata ad aggirarli pur di non rimettere in questione scopi, obiettivi, priorità e conseguenti ineguaglianze di cui, tuttavia, non beneficia più che una parte sempre più esigua della collettività…
E se invece rimettessimo in questione nella maniera più aperta, condivisa e democratica possibile proprio gli scopi, gli obiettivi e le priorità? Rimettere in questione gli scopi è difficile, ma è a volte l’unico modo di affrontare strutturalmente i problemi.
Come avremo modo di approfondire parlando di altri concetti chiave, questa difficoltà aumenta esponenzialmente nel momento in cui il sistema sociale in cui ci troviamo è interdipendente su scala planetaria ma è articolato in sotto-sistemi sociali organizzati istituzionalmente in modo ineguale su differenti scale territoriali e incentiva perciò, di fatto, la competizione per il bene della “propria comunità” (privata o pubblica; locale, nazionale, continentale, internazionale…) invece che la costruzione di beni comuni su tutte le scale. Di fronte a uno scenario di scarsità di energia, questo tipo di organizzazione aggrava i conflitti e mantiene viva la minaccia della guerra.
Ed ecco perché la questione odierna della cosiddetta “transizione energetica” è nello stesso tempo tecnica e politica – e pone una sfida difficile e feconda sul piano educativo!
Mettere in questione
Ci sembra essenziale, sotto il profilo pedagogico, avere presente che le consapevolezze e le soluzioni scientifiche e tecniche – in questo come in ogni altro ambito – sono in continuo divenire e non dipendono soltanto da uno sviluppo spontaneo del sapere e del saper fare umano: pesano i problemi che ci poniamo socialmente, gli incentivi e disincentivi che approviamo istituzionalmente, gli obiettivi cui diamo culturalmente priorità, le abitudini e “normalità” che diamo per scontate… Perciò lavorare a scuola sull’energia significa in realtà mettere a sistema diverse prospettive disciplinari e diversi obiettivi di apprendimento.
Un buon modo di cogliere autenticamente questa sfida è costruire situazioni di collaborazione in cui si agisce come “comunità di ricerca” e si privilegia, come orizzonte di competenza da acquisire, il sapersi porre domande autentiche, l’imparare a mettere in questione, avendo sempre chiaro in mente che lo sforzo di approfondimento del sapere specifico su un dato tema comporta sempre il confronto tra diversi significati da attribuirgli, tra diversi modi di indagarlo, tra diverse prospettive da cui guardarlo.
Per questo, come in ogni altro articolo di questa serie dedicata ai concetti chiave, chiudiamo questo breve contributo suggerendovi alcune delle questioni su cui, dentro o fuori da contesti scolastici, ci sembrerebbe utile riflettere e deliberare assieme.
- Quali gesti compio/compiamo (in classe, in famiglia, nel nostro centro urbano, nella nostra regione, nel nostro Stato, nell’Unione Europea, nel mondo) quotidianamente che generano o si basano su trasformazioni energetiche? Ci sono differenze tra quelli che tendo a compiere io e quelli che vedo compiere da altri?
- Da quali fonti energetiche dipende ciascuno di quei gesti?
- Se diminuisse la disponibilità energetica su cui possiamo contare come gruppo (classe, famiglia etc.), in quale ordine di priorità proveremmo a garantirci di continuare a compiere quei gesti?
- A quali obiettivi e ragioni posso/possiamo ricondurre ciascuno di quei gesti? In che misura sono frutto di una scelta consapevole e in che misura invece sono ripetuti senza rifletterci? Per i gesti che tendono a fare tutti, in che misura derivano da indirizzi o decisioni prese collettivamente e in che misura invece derivano da modelli, abitudini e condizionamenti dati per scontati?
- Quali tra questi obiettivi e ragioni possiamo rimettere in questione?