di Vittorio Marletto
Da quando è scoppiata l’epidemia di coronavirus Covid19 in un paio di settimane il nostro modo di vivere è cambiato radicalmente, siamo quasi tutti e quasi sempre in casa per evitare contagi, e siamo giocoforza costretti a sperimentare nuove forme di educazione e lavoro, con ragazzi in ciabatte che ogni mattina aprono un portatile e si collegano con insegnanti e compagni di classe, mentre i genitori, magari anche loro in ciabatte, fanno riunioni telematiche con i colleghi e si scambiano crescenti volumi di mail, dati ed immagini.
Nonostante il blocco sanitario e le tragedie orribili provocate dal virus la vita di tutti giorni quindi in qualche maniera prosegue, accompagnata dal crollo verticale degli spostamenti cui eravamo abituati per raggiungere scuole, università e uffici. Niente più autobus e treni stracolmi, né accompagnamenti di bambini e ragazzi in macchina davanti alle scuole, niente più pendolari che sempre in macchina o in treno raggiungono ogni giorno i centri urbani dalle vaste periferie, strade vuote, negozi chiusi, aria pulita e un silenzio irreale. Da Venezia dove sono ferme le numerosissime imbarcazioni giungono addirittura fotografie di canali pieni d’acqua trasparente, in cui si vedono i pesci, e i cormorani che danno loro la caccia…
E’ un’epoca sconcertante la nostra, dove lo sfruttamento pervasivo della natura, la globalizzazione delle produzioni e dei commerci, e gli spostamenti frenetici di quasi otto miliardi di persone facilitano la comparsa e la rapidissima diffusione di queste nuove pericolose malattie. (Sonia Shah, Contre les pandémies, l’écologie, Le Monde Diplomatique, 2020)
E’ d’altra parte la nostra anche un’epoca meravigliosa, dove tutti possiamo attingere a piene mani da questa enorme e apparentemente illimitata risorsa che è internet, ormai non più o non solo dal computer personale ma persino dai sottili e fantascientifici apparecchi portatili multifunzione immaginati dal compianto Steve Jobs, che non riusciamo a chiamare altro che “smartphone”. E così, condannati a stare in casa dal virus, abbiamo comunque modo, grazie alla rete e alla tecnologia, di continuare a comunicare studiare e lavorare, mentre il mondo fuori sembra girare sempre più piano.
In sostanza la crisi del coronavirus è sì un’enorme tragedia ma anche un enorme esperimento di lavoro a distanza. Abbiamo scoperto che si può fare. Con le mail, le chat, le videoriunioni e le videoconferenze si può fare scuola, ufficio e burocrazia. Stiamo scardinando un modello ottocentesco, che prevedeva un edificio dove mettere tutti insieme ogni santa mattina tutti gli studenti e tutti i professori da Pierino in su, e un altro edificio dove ficcare dentro tutti gli impiegati e i dirigenti da Fantozzi in su. La presenza ormai ubiquitaria della rete consente di fare altrimenti, di muoversi molto meno, di tenere fermi automezzi treni e aerei, e di far muovere al posto loro i byte.
Chi deve invece muoversi per forza? Certamente gli operai delle fabbriche, gli addetti ai trasporti e alle consegne domestiche, che sono in enorme aumento, e in generale chi svolge le proprie mansioni manipolando materiali inerti in fabbriche, supermercati, campi agricoli, stalle e cantieri, o applicandosi in servizi alle persone, come i mai abbastanza lodati operatori sanitari degli ospedali sempre più affollati. Per loro non c’è altro da fare che munirsi di permessi, uscire di casa e circolare, con guanti e mascherine, fino al posto di lavoro.
In verità tutti speriamo che questa situazione di emergenza si concluda quanto prima, che si arresti lo stillicidio dei decessi, che si possa tornare a fare esattamente quel che facevamo in precedenza. Ma qualcosa comunque è drasticamente cambiato, e sarebbe opportuno che tutti riflettano su questa nuova esperienza collettiva, cittadini, insegnanti, studenti, sindacati, imprese, funzionari e amministratori pubblici, per valutare quanti soldi risparmiano le famiglie, quanti incidenti ci sono in meno sulle strade, quanto inquinamento in meno nell’aria che respiriamo, quanta CO2 evitata, se invece di uscire sempre di casa per il lavoro e lo studio restiamo a casa uno, due, tre, quattro o addirittura tutti i giorni della settimana. E magari rendere questa crisi una fucina di innovazione sociale e di salvaguardia ambientale, mettendo in campo provvedimenti e incentivi che consentano di facilitare in ogni modo il lavoro e lo studio da casa, al di là del virus.