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Coronavirus: abituarsi ad una realtà surreale

Dopo il Coronavirus non saremo più gli stessi, avremo un nuovo modo di concepire i valori nei rapporti, nel lavoro, nell’economia e, forse, nel rispetto degli altri.

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Credits: Chayapon Bootboonneam © 123rf.com

di Mauro Spagnolo

L’esperienza umana, sociale ed economica che gli ultimi noti avvenimenti ci hanno costretto a vivere segneranno per sempre la nostra esistenza.

La mia generazione, e chiaramente anche quella dei miei figli, non aveva mai vissuto una dimensione emergenziale, tipica dei gravi fenomeni dovuti a crisi sociali, economiche o, ancor peggio, belliche. Abbiamo sempre ascoltato con interesse i racconti di guerra dei nostri nonni e genitori, ma sempre con il dovuto distacco, con l’atteggiamento di chi guarda da lontano una fase storica ormai non più riproponibile.

E invece quest’emergenza è arrivata.

Con una velocità spaventosa ci siamo trovati nel bel mezzo di una “battaglia” con tanto di caduti, di bollettini quotidiani e di strategie di difesa e attacco contro un nemico invisibile e per questo letale.

In verità non mi sento di paragonare la drammaticità di un conflitto bellico con la situazione attuale, ma non mi posso esimere dal sottolineare la caratteristica più micidiale dell’attuale contagio: la diffusione globale. Praticamente tutto il mondo sta, con le dovute differenti intensità, combattendo con questo nemico. Non ci sono confini, alleanze, passaporti, colore della pelle e conti in banca che tengano: il Coronavirus attacca tutti e tutti allo stesso modo.

La differenza della diffusione dell’attuale virus rispetto ai tanti altri che di volta in volta hanno flagellato il nostro amato pianeta è spiegabile con il frenetico modello di attività basato proprio sulla globalizzazione. Le modalità di lavorare sono “globali”, di divertirci, di consumare. E così tutto viaggia velocemente da una parte all’altra del mondo, le idee, le persone, le merci… e anche i virus. Non si è fatto in tempo a capire e delimitare il problema che il virus, in pochi giorni, è arrivato negli angoli più remoti del pianeta trasformando il contagio da un problema locale ad una guerra planetaria.

Ed è proprio la natura planetaria del contagio che ha generato numerosi parallelismi con i cambiamenti climatici, e i grandi problemi ambientali, da parte di Istituti, Università e ricercatori in tutto il mondo. Mentre non sono ancora personalmente in grado di sostenere la correttezza delle tante tesi emerse, in quanto tutte in attesa di validazione scientifica, non posso però nascondere un elemento inconfutabile: i baricentri del contagio sono avvenuti, in tutto il mondo, in corrispondenza di aree con una bassa qualità dell’aria, sia in termini di concentrazione di gas climalteranti che di polveri sottili. E gli epidemiologi di tutto il mondo stanno chiedendosi quale ragione possa spiegare questa coincidenza.

Detto questo, però, avverto la necessità di condividere alcune riflessioni che appartengono al “bicchiere mezzo pieno” e che mi fanno guardare all’emergenza attuale con un velo di ottimismo, ammesso che sia possibile, in sei ambiti della nostra vita:

1. Sociale:  la conferma dell’importanza assoluta (chi non ne era già convinto?) della sanità pubblica. Il livello di sviluppo e di benessere sociale si misura, in buona parte, dalla capacità di curare tutti e nello stesso modo. Meglio funziona la sanità pubblica, meno spazio avrà quella privata, i diversi livelli di cura e di attenzioni, le assicurazioni e le tante deformazioni esistenti nel sistema. Ed è in situazioni drammatiche come questa che capiamo che è scellerato sottrarre alla sanità pubblica risorse, personale, attrezzature.

2. Democratico: Lo sviluppo del virus ha ricordato, ai cittadini e ai politici che da qualche tempo l’hanno dimenticato, che i cittadini del mondo sono tutti uguali. Tutti hanno gli stessi diritti e dignità. Muri, confini e classi sociali non bastano a “differenziare” l’effetto del virus che in modo molto democratico sta contagiando in modo orizzontale.

3. Umano: l’obbligo alla convivenza forzata in casa ha indotto le persone a riscoprire il fascino dei rapporti familiari, la lentezza della convivenza, l’ascolto, la dialettica, la condivisione, a volte in spazi limitati, del lavoro, della scuola, dell’università, dello svago.

4. Professionale: quante volte avevamo sentito parlare di smart working? Alcuni avevano già avuto la fortuna di provarlo, ma sempre in situazioni parziali e mai coinvolgenti. Improvvisamente tutta la nazione ha dovuto fare i conti con questa straordinaria modalità di lavoro, si è scoperto che a casa si può produrre come in ufficio, gestire riunioni, trattative, coordinare il lavoro in team, insomma praticamente tutto il lavoro dell’ufficio risparmiando, a livello economico ed ambientale, ed innalzando di molto la nostra qualità della vita.

5. Economico: L’accelerazione dovuta alla pandemia ci ha obbligato, in pochi giorni, a vivere le “grandi prove” di un nuovo modello economico: minor importanza alla produzione (per forza maggiore!), più spazio ai servizi, minor propensione al consumo, più attenzione al riutilizzo e al riciclo. Insomma stiamo facendo le prove generali per rivedere i valori ed il ruolo che il sistema economico dovrebbe avere al servizio dei cittadini.

6. Ambientale: Abbiamo scoperto che è possibile consumare molto meno risparmiando risorse e ambiente. Forse non possiamo immaginare di vivere perennemente nelle nostre case, ma abbiamo capito che siamo in grado, nella pratica, di fare personalmente qualcosa per cambiare passo e partecipare al grande impegno contro i cambiamenti climatici.

Questi ragionamenti, giusti o sbagliati che siano, ci portano a prevedere che dopo il Coronavirus non saremo più gli stessi, avremo un nuovo modo di concepire i valori nei rapporti, nel lavoro, nell’economia e, forse, nel rispetto degli altri.

E magari scopriremo che la nostra nuova realtà sarà… surreale.