Si apre oggi, nella capitale del Qatar, il 18° summit mondiale sul clima delle Nazioni Unite. All'ordine del giorno, le regole per un Kyoto-bis, i nuovi fondi verdi e il testo per l'accordo globale del 2020
Sarà l’attenzione dedicata alle primarie, sarà che l’ambiente “fa notizia” soprattutto in concomitanza di catastrofi naturali o situazioni d’emergenza, ma l’annuale Vertice Onu sui Cambiamenti Climatici sembra non esser riuscito neppure quest’anno a ritagliarsi un adeguato spazio d’approfondimento sui media italiani. Eppure quello che si apre oggi a Doha, nel Qatar, costituisce in potenza uno dei punti nevralgici delle politiche climatiche globali, banco di prova per quanti tengono in mano le fila ambientali del pianeta. Ai negoziatori giunti nel paese arabo, toccherà il compito di premere l’acceleratore su un’azione globale salva-clima, facendo progredire con profitto i lavori preparatori d’un accordo globale giuridicamente vincolante; due settimane, dal 26 novembre al 7 dicembre, in cui i rappresentanti di 194 paesi siederanno allo stesso tavolo di lavoro per affrontare una crisi, quella climatica, che sembra peggiorare inesorabilmente anno dopo anno.
L’ALLARME SCIENTIFICO Secondo l’ultimo rapporto Trends in global CO2 emissions pubblicato a luglio dal Joint Research Centre della Commissione Europea e dall’Agenzia per l’ambiente olandese, malgrado gli sforzi di riduzione promessi da molti paesi industrializzati e la fase di bassa crescita frutto della crisi economica, le emissioni di CO2 sono cresciute su scala globale anche nel 2011, facendo segnare un deciso +2,7%. Valutazioni poco rassicuranti arrivano anche dalla World Meteorological Organization che nell’ultimo bollettino avverte come tra il 1990 e il 2011 si sia verificato un incremento del 30% dell’influenza della CO2 antropica nell’atmosfera. E a mettere in guardia dagli effetti negativi di un clima fuori controllo è anche il nuovo rapporto “Turn Down the Heat” commissionato dalla Banca Mondiale al Potsdam Institute for Climate Impact Research and Climate Analytics: il Pianeta è sulla buona strada per raggiungere un aumento della temperatura di 4° C entro il 2100, condannando le nuove generazioni ad un futuro di ondate di calore estreme, scorte alimentari in calo, perdita di ecosistemi e biodiversità, e un aumento del livello del mare incompatibile con la vita. La raccomandazione di questi e altri report sui generis è sempre e soltanto una sola: concertare un’azione ambiziosa, repentina e condivisa da tutte le parti in gioco per mantenere la Terra sotto il celebre tipping point dei 2°C di aumento della temperatura mondiale.
DOVE ERAVAMO RIMASTI La 17esima Conferenza delle Parti sui cambiamenti climatici tenutasi lo scorso anno a Durban, Sud Africa, ha prodotto risultati importanti ma non decisivi per le sorti del Pianeta; primo fra tutti l’accordo raggiunto sulla piattaforma di Durban per l’azione avanzata a cui toccherà la road map per la redazione di un protocollo o di uno strumento giuridico che si possa applicare a tutti i membri, da negoziare entro il 2015 e da attuare a partire dal 2020. Nel pacchetto di Durban è stata inserita inoltre la volontà di dare il via ad un secondo periodo di impegno sul Protocollo di Kyoto (per i Paesi industrializzati) e il lancio del Fondo verde per il clima, uno dei principali canali di distribuzione per i 100 miliardi di dollari d’assistenza che i paesi sviluppati si sono impegnati a mobilitare per le nazioni povere entro il 2020.
GLI OBIETTIVI DI DOHA Il nuovo vertice dell’Unfccc offrirà a ministri e delegati l’occasione di discutere e pianificare per la prima volta le attività da realizzare nel quadro dei due filoni di lavoro della piattaforma di Durban: porre le fondamenta del nuovo accordo sul clima applicabile a tutti i paesi e l’individuare di nuove e ulteriori misure taglia CO2 per restringere il divario tra impegni di emissione al 2020 e ciò che è necessario per mantenere il limite dei 2 °C di riscaldamento. A ciò si aggiunge il lavoro destinato a finalizzare le regole per l’adozione di un Kyoto-bis, trasformando le indicazioni dei Governi in veri e propri target di riduzione, a ridefinire quelle di alcuni meccanismi taglia emissioni, e a predisporre i nuovi ‘fondi climatici’ ora che è terminato il programma di finanziamento Fast Start.
LE POSIZIONI DEI PAESI I Ministri del Cambiamento Climatico di Brasile, Sud Africa, India e Cina, le quattro nazioni del BASIC, continuano a fare fronte comune e ribadendo la loro posizione a favore di ambizioni dalla portata più ampia per le nazioni industrializzate. Il protocollo di Kyoto rimane un punto critico dei negoziati di Doha. Nonostante lo a scorso dicembre, la COP 17 avesse concretizzato l’ipotesi di estendere la durata del trattato dal 2012, termine ultimo del protocollo, fino al 2015, anno in cui dovrebbe essere pronto il nuovo accordo climatico mondiale, nessun paese ha effettivamente rinnovato la firma. Nuova Zelanda, Canada (ritiratosi qualche mese fa anche dal primo) e Giappone rifiutano apertamente un Kyoto-bis. Gli USA, grandi assenti alla ratifica del primo trattato, sembrano allergici a sottoscrivere impegni decisi da terzi e a imposizioni, come sottolineato dalle ultime dichiarazioni del delegato Todd Stern, e mancano di un’unità d’azione sul tema del climate change come dimostra il disegno di legge sulla riduzione delle emissioni in fase di stallo al Senato.
La Russia continua a non esporsi, mentre India e Cina (il più importante emettitore di carbonio al mondo) continuano a voler una linea di demarcazione netta tra i paesi sviluppati e in via di sviluppo in termini di obblighi climatici e vincoli emissivi. Xie Zhenhua capo negoziatore per la Repubblica Popolare ai dialoghi Onu, ha tenuto a ribadire la scorsa settimana come il Governo non sia intenzionato ad agire prima che il Pil pro capite (oggi a 5000 dollari l’anno) raggiunga circa la metà di quello dei Paesi occidentali nel momento in cui erano al picco delle emissioni (40-50mila dollari l’anno).
Della partita per ora sono solo i 27 Stati Membri UE, Svizzera, Norvegia e Australia che significherebbe però riuscire ad ottenere, con l’estensione del Protocollo, un impegno su solo il 15% delle emissioni globali. Inoltre il consenso è subordinato al raggiungimento di un accordo su alcuni aspetti ancora irrisolti: la durata della seconda fase (l’Unione Europea intende estenderla fino al 2020), la possibilità di riportare le emissioni in eccesso dalla prima e gli accordi che garantiscano l’applicazione immediata della modifica del 1° gennaio 2013.