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Comandare le feste

2 giugno. Una riflessione generale su celebrazioni e calendario scolastico. Delle proposte pratiche per “comandare le feste” e per trarre valore educativo autentico dalla Festa della Repubblica.

Comandare le feste

di Daniela Martinelli e Francesco Pigozzo

Diritti, memoria, sostenibilità: è abitudine diffusa collegare le attività didattiche su questi temi a specifiche ricorrenze riconosciute collettivamente. Prendiamo allora spunto dalla celebrazione odierna di una di queste, il 2 giugno “Festa della Repubblica italiana”, per riflettere in modo critico e creativo a questi automatismi didattici indotti da tradizioni o da politiche che segnano il nostro calendario. Non si tratta solo di una riflessione teorica, ma di un discorso teso a proporre una precisa pratica. Prima di arrivarci, tuttavia, torneremo su un aspetto qualificante del metodo educativo che ispira i nostri contributi per la rubrica in classe

VISIONE INTERDISCIPLINARE E RELAZIONI INTERPERSONALI

Il fatto che l’Educazione Civica sia una materia “trasversale a tutte le discipline” del curricolo, come sottolineato dalle stesse Linee Guida ministeriali per l’attuazione della legge 92/2019, si traduce spesso nei Consigli di Classe in una distribuzione di temi e contenuti tra differenti colleghi e colleghe, che nei casi più virtuosi è inserita in unità di apprendimento interdisciplinari. Singole unità di apprendimento, e a maggior ragione meri agganci tematici tra le discipline, non sono una risposta sufficiente alle motivazioni più profonde, di carattere epistemico e pedagogico, di questa trasversalità: abbiamo già messo in chiaro una parte di queste motivazioni parlando della necessità di affrontare problemi comuni; ma ci proponiamo di evidenziarne altre in successivi contributi. In ogni caso, fare compiutamente i conti con la trasversalità disciplinare della maturazione civica, nella prassi educativa, implica che la collaborazione interdisciplinare poggi su una discussione approfondita e autentica, tra i docenti, circa le concrete finalità educative cui mirare assieme lungo l’intero percorso scolastico della classe e, di conseguenza, sfoci in una progettazione condivisa del contesto di apprendimento e delle modalità da adottare nella relazione educativa.

Noi pensiamo che lo sviluppo di competenze di cittadinanza implichi favorire strutturalmente, cioè a partire dalle abitudini pratiche e materiali della vita di classe, l’esercizio e l’espressione del pensiero critico individuale, il confronto e la condivisione interpersonale, il riconoscimento di problemi comuni e la formulazione e attuazione di soluzioni collettive deliberate assieme. Le iniziative, le attività e le routines che possono concorrere a questo fine strutturante sono certamente molteplici, ma per definizione presuppongono regolarità nel loro svolgimento e il concorso effettivo di ciascun docente. Iniziare a lavorare lungo questa linea direttrice significa costruire le basi di ogni possibile collaborazione interdisciplinare sullo sviluppo di consuetudini e incentivi concreti alla collaborazione interpersonale tra i docenti: è infatti come professionisti del lavoro educativo, prima ancora che come specialisti di singole discipline, che i docenti hanno il compito di condividere pratiche e abitudini funzionali al raggiungimento di finalità condivise, ciò che peraltro faciliterà anche le sinergie sui contenuti stessi.

Per ciascun docente, non si tratta in questo modo di “sottrarre” ore a favore di un’altra materia, ma di prevedere appositi momenti in cui il lavoro con la classe adotti specifiche modalità trasversali e comuni a tutti i docenti e a tutte le discipline, modalità di lavoro che risultino funzionali non soltanto ai fini dell’Educazione Civica ma anche a quelli della propria e di ciascuna disciplina: questa è la caratteristica dell’istituzione di classe che abbiamo chiamato “Riflettere e deliberare assieme”. Essa si presta a toccare qualunque contenuto e può sviluppare fortemente le competenze meta-cognitive e di “imparare a imparare” di ciascun alunno e alunna. Aggiungiamo ora che proprio il calendario scolastico può offrire spunti fecondi per avviare il gruppo a questa esperienza.

COMANDARE LE FESTE

In ogni ordine scolastico, il calendario delle ricorrenze che incidono sull’attività di classe (perché la interrompono o perché la riempiono di contenuti tematici) è una componente importante e nascosta del curricolo – inteso in senso globale, e non solo per la materia di Educazione Civica. Nella maggior parte dei casi si tratta di un calendario composto, da un lato, da una base comune di ricorrenze legate a festività istituzionalmente riconosciute o a tradizioni culturali e, dall’altro lato, da eventuali variabili aggiuntive legate alle scelte dei singoli insegnanti o istituti – scelte che, a loro volta, sono sempre di più influenzate da pressioni di tipo comunicativo e istituzionale in cui, dietro la superficie apparente di messaggi valorialmente incontestabili, è difficile dirimere la parte di interesse pubblico e la parte di interesse privato che vi investe per trarne profitto. Tra i loro altri effetti, queste ricorrenze, per definizione, alimentano in alunni e alunne saldissime, ma parziali e irriflesse, “concezioni spontanee” delle loro appartenenze comunitarie, della memoria sovrapersonale di cui sentirsi partecipi e, in ultima analisi, della loro identità: accade così che aspetti fondamentali per la maturazione di competenze civiche restino in sostanza passivamente accolti in sede scolastica invece che problematizzati e quindi trasformati in reali opportunità educative.

Perché non fare allora del calendario delle ricorrenze uno strumento (invece che un vincolo) di co-progettazione del contesto di apprendimento con il gruppo classe stesso, coinvolgendolo attraverso la modalità di “Riflessione e deliberazione” sopra descritta? Questa specifica attività potrebbe svolgersi in due appuntamenti regolari per ciascun anno scolastico, uno all’inizio e uno alla fine (l’ultimo con finalità tanto di bilancio retrospettivo quanto di ipotesi prospettiva). Si tratta di portare deliberatamente l’attenzione del gruppo sull’esistenza stessa del calendario già istituzionalizzato, per discuterne in chiave trasformativa l’impatto sulle attività di classe; dalla scelta delle date alle modalità di “celebrarle”, va aperta la prospettiva che consente di rimettere in questione tutte le abitudini e normalità acquisite, invece di farsene mera cassa di risonanza: per compiere oppure (ri)discutere, (ri)motivare e nel caso (ri)confermare scelte che diano senso unitario allo svolgersi dell’anno scolastico, in coerenza con precisi obiettivi di apprendimento resi espliciti dai docenti, senza dare alcuna data per scontata e senza introdurne altre estemporaneamente a causa dell’adesione a progetti contingenti.

È particolarmente importante, tra queste linee di senso unitario, sottolineare a ragazzi e ragazze l’opportunità che il calendario rispecchi l’intera molteplicità di scale istituzionali, territoriali, comunitarie cui ciascuno di noi appartiene – in pari grado e con pari importanza, in linea di principio, anche se non con il medesimo statuto civico di fatto – e rispetto alle quali è necessità vitale sentirsi personalmente coinvolti/e (dal municipio e/o comune al sistema delle relazioni internazionali, passando per provincia/città metropolitana, regione, Stato e Unione Europea). È questa esigenza che ci ha spinto a qualificare di “multiscalare” il nostro approccio, che si caratterizza in chiave sperimentale per alcune proposte didattiche di cui ci occuperemo nei prossimi contributi.

LA FESTA DELLA REPUBBLICA

Ma restiamo qui alle ricorrenze del calendario e veniamo in particolare alla Festa della Repubblica italiana. Se la complessità del mondo in cui viviamo ci impone di crescere cittadini e cittadine capaci e desiderosi di partecipare alla vita delle molteplici comunità cui apparteniamo, dobbiamo tuttavia constatare che i sistemi scolastici cui chiediamo di raggiungere tale risultato sono strutturalmente sbilanciati verso la specifica appartenenza nazionale: il corpo docente, la struttura organizzativa e finanziaria, le indicazioni curricolari e gli indirizzi normativi, il discorso pubblico e gli strumenti di comunicazione di massa ancora prevalenti nel contesto in cui si colloca l’azione educativa restano, ovunque, essenzialmente nazionali – vi è anzi profonda confusione tra scuola “pubblica” e scuola “nazionale”, tanto è scontata nella cultura contemporanea di matrice europea l’idea che la scuola “di tutti” sia, per definizione, quella che fa capo alla scala istituzionale dello Stato. La cooperazione educativa inter-nazionale, sicuramente sempre più forte, non cambia bensì conferma in modo complesso e paradossale questo dato di fatto giuridico e politico: perché non deriva da processi di sviluppo della coscienza e dell’esercizio di sovranità individuale e collettiva, bensì da processi di coordinamento e gestione tecnico-burocratica dentro a un quadro di relazioni internazionali che massimizza in ultima istanza il principio di competizione. Ciò resta per ora valido anche per i sistemi d’istruzione dei paesi membri dell’UE, sebbene il tentativo di sviluppare uno Spazio Europeo dell’Istruzione possa nominalmente evocare la possibilità di un cambiamento di paradigma: ma sono ormai tante le iniziative europee che usurpano solo con il nome ideali di unità repubblicana…

Resta il fatto che nel calendario scolastico italiano la Festa della Repubblica è più di ogni altra la ricorrenza che, a prescindere dalla realizzazione o meno di attività di classe dedicate, rinforza il messaggio implicito e sistemico di una priorità civica da attribuire allo Stato nazionale: messaggio sancito con la chiusura degli esercizi pubblici, a differenza di quanto accade con le ricorrenze storico-politiche legate alla nostra appartenenza su scala europea o mondiale (il 25 aprile meriterebbe un discorso a parte, che qui non ci è possibile sviluppare). Perciò il 2 giugno rappresenta appieno l’ambiguità dei compiti affidati alla scuola: un’ambiguità che nascendo da dati di fatto reali, non va sfuggita ma assunta come tale e trasformata in opportunità educativa.

Stimolare a scuola la riflessione critica sul 2 giugno (1946) è un imperativo per chiunque voglia realmente raccogliere la sfida dell’Educazione Civica nel XXI secolo. Rimetterla in discussione è certo un rischio, tanto più grande in quanto restano alquanto incerte le prospettive democratiche delle costruzioni istituzionali sovranazionali e non vi sono segni del fatto che altri Stati e sistemi d’istruzione siano propensi a correre quel rischio per analoghe ricorrenze; ma correre il rischio è anche l’unico modo di restituire senso autentico a ciò che vogliamo ricordare, trasmettere, far resistere al passare del tempo; non significa svalutare, ma dare l’effettiva possibilità a generazioni e epoche successive di appropriarsi (o disfarsi) del senso di una ricorrenza: in sintonia appunto con l’invito a “Comandare le feste”. Ora, vi sono almeno tre caratteristiche storico-politiche del 2 giugno 1946 su cui resta importante lavorare in chiave educativa, in diretto collegamento con gli obiettivi di apprendimento della “Riflessione e deliberazione nel gruppo classe”: la modalità deliberativa basata sul suffragio universale, la scelta tra “sudditi” e “cittadini” cioè il passaggio dal regime monarchico a quello repubblicano, l’Assemblea Costituente elettiva che stabilisce principi fondamentali e un ordinamento finalizzato a perseguire il bene comune.

Ma, impiegare termini di portata generale come “repubblicano”, “universale”, “costituente” e “bene comune” con implicito riferimento a una situazione particolare, quella italiana nel nostro caso, significa cadere nell’auto-mistificazione che, sulla scorta di un ampio dibattito delle scienze storico-sociali, potremmo etichettare come “nazionalismo metodologico”; essa consiste nell’adottare implicitamente la scala nazionale come sistema di riferimento esclusivo o privilegiato per comprendere e agire all’interno della collettività. Come se, appunto, la collettività o “comunità” cui apparteniamo fosse unica, o principalmente una, e dunque la democrazia deliberativa, la sovranità popolare repubblicana e il fondamentale patto di cittadinanza che è una Costituzione non fossero concepibili (e necessari!) su una molteplicità di scale territoriali, istituzionali, comunitarie. La “Festa della Repubblica” ci pone allora di fronte al dilemma della “multIscalarità”, che la scuola ha il dovere di affrontare a viso aperto: la cittadinanza ad oggi trova ancora fondamento giuridico nello Stato nazionale, ma è al di sotto e al di sopra della scala statuale che i problemi e i rischi che ci troviamo ad affrontare rendono urgente poterla esercitare e rafforzare.