Utopia? Tutt’altro. Il tema proposto dal Seminario della Fondazione Symbola “Coesione è competizione” supera la semplice narrazione per fare un attento e paziente lavoro di lettura del reale da cui ripartire per valorizzare la coesione territoriale e sociale: una lettura che mette l’uomo al primo posto, ma nello stesso tempo mette in risalto tutto il bello – ed è tantissimo – dell’Italia.
Ma siamo proprio noi i primi a non crederci, come ha ben spiegato, cifre alla mano, Nando Pagnoncelli (Ipsos) nel suo intervento al Seminario Symbola. Le percezioni guidano i comportamenti: il 30% degli italiani ritiene che il peggio della crisi debba ancora arrivare (mentre i dati dicono il contrario), e questo crea un senso di incertezza e di paura che paralizza anche gli investimenti. La malattia del nostro tempo è la retrotopia, per usare un neologismo di Zygmunt Bauman: un’utopia all’indietro, che immagina di trovare nel passato una società migliore. C’è sfiducia nelle istituzioni, nella classe dirigente, nella globalizzazione (ritenuta più una minaccia che un’opportunità), nell’Europa, nelle imprese, negli altri. In questo scenario ha senso parlare di coesione?
Coesione e competizione sono due parole solo apparentemente antitetiche che mediano tra interessi sociali ed economici diversi per ricondurli all’unità attraverso la sostenibilità: il valore economico va costruito insieme, ha spiegato Mauro Magatti (Università Cattolica di Milano). Oggi si è compreso che produrre valori sostiene i consumi. I dati, infatti, dimostrano che le aziende coesive – ovvero che sono in relazione con altre imprese, comunità, istituzioni, consumatori, terzo settore – e con un alto livello di sostenibilità sono preferite dai consumatori, creano posti di lavoro, aumentano l’export e il fatturato. Rifuggiamo dall’Effetto Lucifero che libera la parte peggiore delle persone: anziché dire “il mondo va così, io non posso cambiarlo” ed essere oppressi dalla negatività, dobbiamo capire che siamo in una fase storica diversa, essere più coraggiosi e lasciare spazio a un cambio di paradigma positivo che può ricostituire la giusta relazione tra economia e società.
“Una volta eri competitivo se il tuo prodotto costava meno. Oggi si genera ricchezza con valori diversi che arricchiscono l’impresa, e il primo settore a capirlo è stato quello agroalimentare” ha affermato Roberto Moncalvo (Coldiretti). Coldiretti ha messo in rete i produttori sui progetti, ha ridefinito la figura dell’agricoltore e costituisce un esempio concreto di inclusione sociale: un quarto dei suoi lavoratori sono stranieri integrati.
L’agricoltura è ancora un ascensore sociale, ha spiegato Maria Letizia Gardoni (Coldiretti Giovani), rimproverando l’incapacità della politica che genera una guerra tra poveri anziché risolvere i problemi veri. I millennials rurali, benché più poveri dei loro genitori, stanno dimostrando che c’è un’altra via possibile: da vite invisibili stanno diventando vite ispirazionali. L’impresa agricola ha una funzione civica: tutela il teritorio, mette in contatto le comunità, gestisce le risorse naturali, ristabilisce il legame con i cittadini (ad esempio con i Farmer Market).
Se è importante rispettare le regole, altrettanto lo è non smontare le comunità – come spesso fanno le grandi aziende nei paesi poveri – perché si apre la strada all’inquinamento dell’ambiente e allo sfruttamento delle persone. Una scelta fatta dall’Enel di Francesco Starace, che ha rinunciato ai diritti di sfruttamento acquisiti in Sudamerica per non disgregare la comunità che ci viveva. Come avvengono, oggi, le scelte di una grande azienda? Innanzi tutto cercando di capire insieme come e cosa cambiare, anche se ogni cambiamento genera paura. Paura, solitudine e diseguaglianze hanno in comune egoismo e mancanza di coesione. Qual è il ruolo delle imprese per creare coesione? “Dire sempre tutta la verità, avere il coraggio di mettersi insieme e fare, lavorare nel tempo con la società, senza lasciare rovine e gente impoverita”.
“Symbola ci fa riflettere sul futuro, ci fa uscire dalla solitudine per dare una visione comune del paese”, ha detto Vincenzo Boccia (Confindustria). Bisogna riportare le persone al centro della società e le imprese al centro dell’economia in una ritrovata alleanza tra politica ed economia: per essere competitivi bisogna fare gioco di squadra, coesione e relazioni umane sono la chiave del successo. Ma altrettanto importante è la programmazione di lungo periodo e avere tempi certi di realizzazionze dei progetti. Le infrastrutture, ad esempio, sono un progetto di inclusione, perché collegano il centro alla periferia. “L’Italia è il secondo paese industriale d’Europa: la nostra ricchezza viene dall’export, chiudere le frontiere non ha senso. Il nostro obiettivo è puntare sulla crescita e ridurre i divari del paese”.
“Le nuove geografie della produzione di valore indicano che quando l’Italia fa l’Italia, producendo beni e servizi di alta qualità, genera bellezza e ricchezza” ha evidenziato Fabio Renzi (FondazioneSymbola) nel suo intervento. “Produrre ricchezza è la prima condizione perché la sua distribuzione sia più equa”: dicendo questo, Renzi si è collegato a quell’economia sana con una visione al futuro e un’attenzione alle persone come fu l’esperienza di Olivetti, azienda fondata centodieci anni fa, ma ispirata dai principi di sostenibilità e coesione di cui si parla oggi.
Severo il punto di vista di Catia Bastioli (Novamont), leader di un’azienda che ha nella produzione sostenibile il suo core business. Novamont ha tecnologie trasformative che in una logica di filiera portano a mettere in rete le comunità in modo contributivo, tuttavia il paese non è omogeneo ed è difficile connettere velocità diverse. Si risente della mancanza di una visione d’insieme che non riesce a guardare lontano e di una burocrazia incapace di decidere. Non è chiaro nemmeno cosa si intenda quando si parla di bioeconomia. Servono obiettivi chiari che superino una politica che si ferma agli effetti e non cerca le cause: finché l’egoismo di un progetto prevale sull’insieme sarà impossibile creare una vera cultura dell’innovazione. La coesione è indispensabile per costruire un percorso di paese che ci metta in grado di affrontare la competizione globale: diversamente l’Italia è destinata a soccombere.
“Con il rapporto Coesione è competizione la Fondazione Symbola ha tracciato una mappa anche per la politica, anche se la coesione oggi non è pane quotidiano” ha esordito l’ex-premier Paolo Gentiloni. “Le reti sono l’ossatura dell’Italia, la coesione è l’unica strada da percorrere e la competizione deve essere lo stimolo a fare di più e meglio”. Ma una competizione sana non è certamente quella delle guerre commerciali che rischiano di innescare meccanismi pericolosi ed economicamente dannosi. A dimostrazione della competitività della coesione, Gentiloni ha citato Larry Fink, presidente di BlackRock, la prima società di investimento al mondo, che d’ora in avanti misurerà i parametri aziendali secondo criteri di sostenibilità. Per Fink, difesa dell’ambiente, sviluppo sostenibile, responsabilità sociale delle imprese e lotta al cambiamento climatico sono da considerare un bene comune, così come l’aiuto ai disagiati. Ne è così convinto che ha creato la Robin Hood Foundation per combattere la povertà a New York.
Elena Salda ha raccontato il caso di CMS spa, un’azienda molto avanzata sul piano della sostenibilità: in azienda ci sono un asilo nido e un centro estivo, orari flessibili per le mamme, prevenzione e visite mediche gratuite, volontariato d’impresa, formazione linguistica, team building. Mettere in campo questi valori ha creato collaborazione e spirito di squadra. In un momento di grave crisi dell’azienda, c’è stata grande collaborazione per risollevare le sorti dell’azienda. Elena ha avuto il coraggio di raccontare un fallimento, ma aver creato coesione ha portato con sé il sostegno di lavoratori e fornitori che è di aiuto per rimettersi in piedi.
“Non vediamo le cose come sono, ma come siamo” recita il Talmud. Ermete Realacci, presidente della Fondazione Symbola, è uno che va controcorrente. Si oppone a una visione negativa dell’Italia, vuole contrastare la paura che ci ancora al passato e vuole ricostruire un messaggio positivo del paese. Quanti sanno, ad esempio, che siamo campioni europei di economia circolare? C’è un fil rouge che lega i rapporti della Fondazione Symbola, come Coesione è competizione, ed è la voglia di capire quali sono i punti di forza dell’Italia e misurarli con i numeri. Ma ci sono soprattutto la voglia e l’impegno di valorizzare le risorse di un paese apprezzato all’estero più che in casa. Per ricostruire un senso di identità, un orgoglio di appartenenza e per guardare al futuro è indispensabile avere il senso delle proprie radici, non perdere la memoria del passato per sapere chi siamo e chi possiamo essere: in una parola, ritrovare il senso della patria nella sua accezione migliore. Non un individualismo chiuso che alza barriere, ma un’apertura al mondo che ci fa crescere ed essere competitivi. Allora andiamo avanti sulla nostra strada e facciamo tornare il sorriso all’Italia!