Rinnovabili

Città resilienti

Dopo il sostanziale fallimento della conferenza climatica di Durban, che ha prolungato di anni l’efficacia del debole protocollo di Kyoto, rinviando così alle calende greche del 2020 l’attivazione di un nuovo indispensabile accordo internazionale per il controllo delle emissioni climalteranti, le modificazioni climatiche indotte dall’uomo rischiano di avviarsi verso gli scenari meno rassicuranti, quelli tratteggiati dalle curve più ripide, che potrebbero portare le temperature oltre la soglia di +2 gradi, verso +3 o addirittura oltre. In questa situazione di sostanziale stallo delle misure di mitigazione (è questo il termine tecnico utilizzato internazionalmente per indicare i tagli alle emissioni) sarebbe del tutto naturale concentrare ogni sforzo sulle misure di adattamento al cambiamento climatico prossimo venturo.

Purtroppo la situazione anche in questo settore strategico versa in condizioni simili a quelle della mitigazione. In Italia per esempio di questi argomenti il governo e il parlamento al momento non si occupano e quindi un piano nazionale di adattamento ai cc non esiste, forse anche perché finora la Ue non ha prodotto direttive vincolanti analoghe a quelle che invece impongono ai governi di tagliare le emissioni, come il famoso piano clima-energia noto ai più come strategia 20-20-20 (vi sono comunque in Europa molte nazioni che hanno provveduto autonomamente, senza aspettare ordini da Bruxelles, che in ogni caso sull’adattamento un libro verde e uno bianco li ha prodotti). Più attivi sul fronte dell’adattamento appaiono invece gli enti territoriali, come dimostrano le iniziative presentate al seminario “Le Città Resilienti. Cambiamento climatico: rischi e opportunità per le città e i territori”, organizzato a Modena il 15 dicembre scorso per presentare e discutere le linee di indirizzo messe a punto in ambito Agenda 21.

Resilienza è un termine tecnico che sta ad indicare la capacità elastica di un materiale di assorbire gli choc senza deformazioni permanenti; l’uso del termine si è recentemente esteso anche alle scienze umane e dunque per città resilienti si intendono ambiti urbani che si organizzano meglio o si modificano opportunamente per contenere e possibilmente annullare impatti di eventi estremi, in questo caso gli impatti del clima che cambia. Città quindi capaci di proteggere i propri abitanti e i manufatti dalle piene improvvise dovute all’intensificarsi delle piogge, di resistere a caldo e siccità e contenerne i danni, di individuare con prontezza e fronteggiare efficacemente nuove epidemie trasportate da vettori animali un tempo tipici dei paesi tropicali, e così via.

Naturalmente questi concetti complessi devono trovare riscontro nell’ambito della pianificazione territoriale e urbana, che in Emilia-Romagna significa principalmente Ptcp, cioè piano regolatore provinciale, e Prc, il vecchio piano regolatore urbano. Di questi strumenti soprattutto hanno parlato l’assessore provinciale Stefano Vaccari e Simona Arletti, assessore del comune di Modena, dopo le introduzioni di Vanni Bulgarelli (responsabile del gruppo di lavoro Città sostenibili) ed Emanuele Burgin (a capo del coordinamento italiano delle agende 21 locali). Incorporare nei piani l’adattamento impone di articolare meglio la prevenzione dei rischi idrogeologici e idrologici del territorio, intervenire sul clima e ambiente urbano con la pianificazione del verde e delle acque, limitare l’incremento dell’urbanizzazione con percentuali massime per i comuni, garantire la sostenibilità idraulica dei nuovi insediamenti, intervenire sulla riduzione e il riciclaggio dei rifiuti, in poche parole pianificare con molta intelligenza e innovazione. Resta tutto l’ampio problema del già costruito non tanto nella città storica quanto in quella fascia anni 60-90 dove il tema sostenibilità era del tutto assente e prevaleva la frenesia della crescita economica. Tanto per fare un esempio Modena fino agli anni Cinquanta del secolo scorso era una città di canali e di acque limpide, dove si praticava persino la pesca dell’anguilla (e non per sport). Oggi le acque sono diventate invisibili, tombate sotto viali e posteggi, mentre potrebbero tornare molto utili per esempio in funzione climatizzante.

Il direttore generale di Arpa prof. Stefano Tibaldi ha ribadito la sorprendente assenza di pianificazioni per l’adattamento di ambito ampio, lamentando anche la parziale inadeguatezza dell’approccio europeo in questo ambito. Per quanto riguarda il livello regionale pur presentando un’ampia rassegna di iniziative e progetti  che si riconducono tutti al tema dell’adattamento ai cc (tra i quali anche un interessante attività di ricerca sulle isole di calore urbano guidata proprio da Arpa) si attende ancora un documento complesso, una sorta di “piano dei piani” che conduca al coordinato e rapido svolgimento di iniziative per l’adattamento sui 22mila kmq del territorio regionale.

I numerosi materiali presentati al convegno saranno presto disponibili sul sito del comune di Modena (ref: Catia Mazzeri, città.sostenibili@comune.bologna.it) ma dovrebbero soprattutto confluire nella versione definitiva delle linee di indirizzo per i piani di azione climatica locale, uno strumento di notevole utilità per gli enti locali del nostro Paese, che resta comunque in attesa di un auspicabile ed urgente piano climatico nazionale.

di Vittorio Marletto, Arpa Emilia-Romagna – www.pianetaserra.wordpress.it

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