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Certificati bianchi, tra ostacoli ed obiettivi

Certificati bianchi, tra ostacoli ed obiettivi

 

(Rinnovabili.it) – I certificati bianchi sono uno strumento utile, ma ancora imperfetto. Se non lo si affinerà ulteriormente la transizione verso un’economia low carbon resterà un’utopia. È questo il messaggio che affiora dal convegno annuale della FIRE (Federazione Italiana per l’uso Razionale dell’Energia), intitolato “Certificati bianchi: titoli di efficienza energetica a portata di mano”. L’appuntamento, una due giorni che si è chiusa oggi, ha riunito a Roma tutti gli attori interessati: società coordinatrici dello schema, distributori, associazioni di categoria, società di servizi e know how per l’efficientamento energetico ed esponenti delle istituzioni. È stata un’occasione per fare il punto della situazione dopo il recepimento della direttiva 2012/27UE da parte del governo e a una settimana dalla presentazione del rapporto annuale del GSE (Gestore Servizi Energetici, che si occupa dal 2011 di gestire il meccanismo), prevista il 16 aprile presso il ministero dello Sviluppo economico.

 

Qualche numero lo ha anticipato Davide Valenzano, responsabile Unità attività regolatorie e monitoraggio del GSE, introdotto dal direttore di FIRE e moderatore del convegno, Dario Di Santo. «Nel 2° semestre 2013 la percentuale di TEE – Titoli di Efficienza Energetica, altro nome dei certificati bianchi – emessi entro 60 giorni ha sfiorato il 75%: il proposito per il 2014 è aggredire quel 25% rimanente. Comunque gli obiettivi dello scorso anno sono stati centrati, dato che abbiamo raggiunto il 60% della quota di efficienza energetica da stabilita per il 2016».

L’altro 40% deriva da detrazioni fiscali, conto termico e fondi strutturali. Il 2014 secondo Valenzano si presenta come il primo anno in cui la liquidità del mercato è molto buona. Tutti i sistemi energivori del Paese sono stati interessati da interventi di efficienza energetica, soprattutto i settori petrolchimico (che contribuisce con il 20% del totale), laterizi (16%), vetrario e alimentare (13%). Nel solo primo trimestre 2014 sono stati avviati 1.689 nuovi progetti, per circa 600 mila titoli richiesti.

 

«Resta da snellire il processo di presentazione dei progetti e introdurre nuovi indicatori di performance nella valutazione e certificazione dei risparmi. Bisogna però riuscire a far convivere la volontà di sburocratizzare con la necessità di potenziare le attività di controllo e verifica per la corretta erogazione dei TEE».

 

A dieci anni dall’entrata in vigore (era il 20 luglio del 2004), però, il dispositivo certificati bianchi ha vissuto –e vive tutt’ora – vicende travagliate: ad esempio, la situazione di mercato corto in cui il meccanismo naviga da sempre ha prestato il fianco a speculazioni che hanno portato i distributori a finanziare impropriamente il sistema. Il prezzo degli ultimi anni non rispecchia il costo reale degli investimenti sostenuti, perché i soggetti obbligati sono stati costretti ad acquistare “a prescindere” per non rischiare penali. Così facendo, sono stati finanziati i progetti senza selezionare solo quelli realmente meritevoli. Il sistema rischia la bolla speculativa: a beneficiare del prezzo dei certificati bianchi non è tanto la Esco (Energy Service Company) che ha investito, quanto il trader che compravende i titoli. I TEE sul mercato non riescono inoltre a soddisfare gli obblighi dei distributori, costretti ad acquistare a prezzi più alti di quelli definiti dall’AEEG. L’aspetto finanziario va quindi corretto, anche per l’asimmetria fra gli automatismi: in condizioni di mercato lungo, infatti, è previsto giustamente un innalzamento degli obblighi per evitare il crollo dei prezzi, mentre non vi sono contromisure per le situazioni di mercato corto. Qualche correttivo è stato apportato: una recente delibera dell’Autorità ha rivisto il meccanismo di definizione del contributo tariffario, rendendolo meno soggetto a oscillazioni.

 

Alcuni problemi tuttavia restano in piedi, come sottolinea Andrea Tomaselli, presidente di Assoesco: «Le Esco sono stremate dalla difficoltà della gestione del meccanismo. Non è vero che funziona così bene. È complesso, gli enti che lo devono far funzionare hanno grandi responsabilità e vanno rispettati per il difficile compito. Però gli operatori si devono confrontare con leggi scritte in modo mai chiaro, interpretazioni continue. I rigetti poi sono tanti, troppi. Il preavviso di rigetto – che si presenta sotto forma di una richiesta di integrazioni – è uno strumento usato in modo troppo disinvolto».

Poi punta il dito contro i gestori del servizio: «È difficilissimo parlare con GSE e RSE, sono troppo chiusi. Me lo dicono i miei associati e lo riscontro io personalmente. Migliorare la comunicazione è fondamentale: serve un tavolo permanente con le associazioni, se no siamo costretti ogni mattina a tentare di scoprire se è uscita una nuova interpretazione di qualche legge».

 

Altro neo è nella vita utile degli interventi: un periodo ancora troppo lungo, secondo Fabio Santini di Federutility. La Federazione italiana che riunisce le Aziende di servizi pubblici locali dei settori idrico ed energetico è convinta che bisognerebbe prevedere dei payback time (tempi di rientro dell’investimento) ridotti rispetto ad oggi. Solo così il meccanismo dei certificati bianchi diventerebbe davvero conveniente.

 

Sotteso alle diverse critiche serpeggiava un malcelato scetticismo nei confronti della capacita della politica di rispondere alla sfida dell’efficienza energetica. I tecnici delle istituzioni presenti al convegno hanno dibattuto sul tema in una tavola rotonda politico-istituzionale (presenti anche Laura Puppato del Pd e Gianni Girotto del M5s) che ha chiuso la prima giornata. Mauro Mallone, direttore della Divisione sviluppo energetico sostenibile del ministero dello Sviluppo economico, ha spiegato che con il recepimento della direttiva europea «si sono definite linee guida per semplificare e armonizzare le procedure autorizzative per l’installazione degli impianti. Inoltre, è stato definito un fondo rotativo per finanziare interventi di efficienza energetica realizzati dalla Pubblica Amministrazione, le Esco e le imprese. La dotazione del fondo è di circa 70 milioni di euro l’anno per il periodo 2014-2020».

Ha poi sottolineato come grazie al meccanismo dei certificati bianchi siano nate delle imprese di servizi che operano nel settore: «Sono posti di lavoro in un mercato che sta crescendo e che vale 5-6 miliardi all’anno, 2 dei quali sono coperti dal pubblico».

 

Sebastiano Serra, capo della segreteria tecnica del ministro dell’Ambiente, ha invece criticato duramente il governo, strappando un applauso caloroso al pubblico in sala.

«Non sono contento di questo recepimento, ci limitiamo a fare il compitino. Spero venga cambiata la norma approvata, dobbiamo accompagnare la crescita delle rinnovabili, non disincentivarle. Alla ragioneria generale dello Stato vedono gli incentivi come il fumo negli occhi, pensano solo a non spendere, ma non capiscono che l’iniziale incentivo porta tasse di nuovi occupati e interventi che creano gettito iva. Il fondo nazionale poi è misero: servono cifre decine di volte più alte, così come serve un numero molto più elevato di certificati bianchi sul mercato. Va estesa la platea dei soggetti obbligati, non solo i distributori di energia elettrica e gas. Perché Snam e Terna non sono dentro questo sistema? Perché vendono ai big, non ai piccoli. Tutta quella energia non ha niente a che fare con l’efficienza».

 

Francesco Paniè

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