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Carne, la filiera lunga dei danni

Il consumo di carne animale è fonte di danni ambientali, consumi idrici enormi e della possibilità di contrarre il tumore al colon. Perché continuiamo a non riuscire a smettere di mangiarla?

CARNE - LA FILIERA LUNGA DEI DANNI(Rinnovabili.it) – Il rapporto pubblicato il 26 Ottobre dall’OMS dichiara che il consumo di carne lavorata aumenta il rischio di contrarre il tumore al colon. Bastano 50 grammi di carne al giorno per accrescere del 18% la probabilità di ammalarsi di tumore.

Dopo questa notizia l’opinione pubblica ha aperto un  rumoroso dibattito che ha visto sfidarsi due filoni di pensiero antagonisti. Chi, con un sorriso compiaciuto, può finalmente commentare con un “ve l’avevo detto” e chi grida ad un nuovo complotto ai danni della carne, vista come nuova vittima di una infondata e allarmistica caccia alle streghe.

Vorremmo allargare la prospettiva della questione facendo un passo a monte rispetto al solo consumo della carne, con una riflessione sul costo della sostenibilità degli allevamenti animali.

Come dichiara il World Watch Institute, è ormai confermato che la domanda di carne animale sia una tra le principali cause di danno ambientale che più minacciano il futuro del nostro pianeta: la deforestazione, l’erosione, la scarsità d’acqua, l’inquinamento dell’aria e dell’acqua, i cambiamenti climatici, la perdita di biodiversità, l’ingiustizia sociale.

Ad inquinare, in particolare, sono gli allevamenti intensivi degli animali, piccoli o grandi che siano e il modo in cui vengono condotti, oltre che alla produzione di mangime ad essi legati.

In primo luogo un rapporto delle Nazioni Unite afferma che le mucche producono più gas serra che l’intero settore dei trasporti. Oltre a questo è necessario segnalare come il consumo d’acqua utilizzata nella produzione di mangimi consumi  più risorse di qualsiasi altra attività, utilizzando il 70% dell’acqua usata in totale nel mondo. Senza dimenticare che le colture di cereali ricevono quantità massicce di pesticidi e di fertilizzanti che possono diffondersi nei terreni e nelle falde freatiche.

Ultimo spunto di riflessione che vorremmo condividere con voi è legato all’ingiustizia sociale, direttamente dalle parole dell’economista Jeremy Rifkin “Il grano c’è. E potrebbe bastare alle popolazioni denutrite. Ma il 36% della produzione mondiale serve solo all’allevamento di bestiame […]centinaia di milioni di persone nel mondo lottano ogni giorno contro la fame perché gran parte del terreno arabile viene oggi utilizzato per la coltivazione di cereali ad uso zootecnico piuttosto che per cereali destinati all’alimentazione umana.”