Bernard Barthalay ha accettato la nostra sfida e risposto alle nostre domande. Scopriamo la sua prospettiva sui problemi che abbiamo in comune e facciamone tesoro per interrogare criticamente noi stessi e il mondo.
di Daniela Martinelli e Francesco Pigozzo
Bernard Barthalay è studioso e insegnante universitario di economia politica, titolare della Cattedra Jean Monnet di Economia dell’integrazione europea presso l’Università di Lione 2 dal 1991 al 2010. Il suo impegno attivo per la creazione di una Repubblica federale europea, pienamente democratica e costituzionalizzata, lo ha visto protagonista di molteplici iniziative civiche e politiche nelle fasi decisive del processo di integrazione europea, a partire dalla campagna per l’elezione diretta del Parlamento europeo.
Quali connessioni o contraddizioni vede tra quello che la occupa come individuo (lavoro, ricerche, passioni, ossessioni…) e quello che la pre-occupa come essere umano che fa parte di molteplici collettività, dal locale al globale?
Nato nel 1945, sono cresciuto sotto il regime di Bretton-Woods. Sto invecchiando sotto il regime di Wall Street. Presentata in questi termini, la differenza non si nota, ma per un economista politico come me, è grande e lampante. Durante la Ricostruzione del dopoguerra, i miei genitori potevano ragionevolmente sperare in una crescita infinita, o almeno che io potessi godere di una situazione materiale superiore alla loro. Le cose che vedo “crescere” da quando è nato mio figlio sono, invece, il degrado dell’aria che respiro, il cibo spazzatura, l’iperconsumo compulsivo di oggetti inutili prodotti dall’altra parte del mondo, la congestione urbana, la deforestazione, il degrado dei terreni agricoli e altre assurdità. Quello che vedo diminuire è il senso civico, la solidarietà, il mutuo soccorso, il riconoscimento sociale dei deboli e degli sfruttati. Se oggi penso alle quattro libertà (di parola, di religione, dal bisogno, dalla paura) volute da Roosevelt e che sono diventate la base dei diritti universali alla fine del conflitto, trovo desolante vedere i giornalisti del mio Paese imbavagliati da un miliardario, e, per farmi un’idea giusta e completa della situazione del mondo, dovermi basare su fonti esterne o alternative; o vedere il governo del mio Paese che sfrutta strumentalmente e quotidianamente il bellissimo principio della laicità per negare la libertà dei miei concittadini musulmani di praticare la loro religione o di circolare liberamente senza controlli facciali; o apprendere che il 20% dei miei concittadini vive al di sotto della soglia di povertà, che i senzatetto sono l’ultima delle preoccupazioni della classe media, dei ricchi e del governo, che una dozzina di famiglie monopolizzano più della metà del reddito del paese mentre per altri la fine del mese inizia il 12…; o notare che i media lavorano quotidianamente per distogliere l’attenzione dalla caduta del potere d’acquisto, dalla disuguaglianza, dalla distruzione della biodiversità, dalla corruzione dei governanti, dall’evasione fiscale, attraverso sequenze televisive in cui si alternano l’immigrazione, il velo “islamico”, l’insicurezza, le pandemie, la violenza della polizia, per fabbricare paura e ansia, alimentando l’espansione del voto fascista.
La causa di questi mali è consapevolmente nascosta. Pronunciare la parola capitalismo è diventato indice di opposizione radicale, demonizzata dalla stampa di destra o dalla televisione h24. Lo spostamento del potere dal potere pubblico alla finanza di mercato e all’economia delle piattaforme digitali passa sotto silenzio e la stessa economia politica – che è ciò di cui mi occupo accademicamente da sempre – viene tacciata a priori, davanti a un’opinione pubblica ignorante, di “negazione della scientificità”, poiché l’unica “scienza” legittima è lo scientismo degli economisti liberali. La bestia immonda sta tornando al galoppo. Per impedirne la rinascita, alcuni uomini avevano concepito sotto il fascismo il progetto di una federazione europea in grado non solo di impedire la guerra tra europei, ma anche di ridurre la nocività dei feudalesimi industriali e finanziari che avevano sostenuto Mussolini e Hitler. Questo progetto è più che mai attuale. Ma l’onnipotenza della finanza, che ha interesse a dividere la società europea in Stati per meglio addomesticare il potere pubblico, condanna all’impotenza l’idea-forza della “costituente europea”, che è da sempre al centro dei miei sforzi di cittadino attivo. L’ammissibilità del progetto federale presuppone un risveglio democratico di sinistra nella Francia prefascista. E la sua iniziativa presuppone un’inversione di tendenza nella politica tedesca: dal mercantilismo disgregante e dall’austerità devastante ai trasferimenti fiscali e sociali intraeuropei e alla pianificazione ecologica dell’attività produttiva a tutti i livelli, dai comuni al continente, passando per le regioni e i Paesi membri. La Germania è il Paese che, nonostante le apparenze, ha resistito meglio alla finanziarizzazione, grazie alla co-determinazione e al finanziamento bancario del suo Mittelstand (il tessuto industriale di piccole e medie imprese).
“Se tutti in tutto il mondo facessero così, diventerebbe impossibile fare così per chiunque”. “Continuando a fare così, ben presto noi esseri umani non potremo più fare così”. Che cosa le evocano queste frasi?
Se tutti volessero consumare come l’europeo medio delle statistiche, ci vorrebbero diversi pianeti per soddisfare i bisogni umani. Poiché ne abbiamo solo uno, dobbiamo dire “stop”. Se i governi e la finanza di mercato, in gran parte alimentata dai combustibili fossili, non porranno fine alla loro negazione sistemica del rischio climatico, l’accelerazione del riscaldamento globale, che è già iniziata, porterà le società umane al caos, alla carestia e alla guerra, in altre parole a situazioni in cui il governo del mondo secondo ragione lascerebbe il posto alla barbarie e al suo corollario, la tirannia. Il grande Kant, in un’inattesa anticipazione del pensiero di Marx, aveva condizionato la pace a una situazione materiale in cui gli Stati, troppo indebitati, non avrebbero potuto più finanziare le guerre. Oggi è la sopravvivenza della razza umana a essere condizionata dai limiti materiali delle risorse fisiche del pianeta.
Stanno finalmente guadagnando visibilità i problemi di sostenibilità biologica, economica, sociale, culturale che pesano sull’esistenza dell’umanità – eppure si tarda e si fatica troppo a prendere e attuare decisioni collettive conseguenti: non è che c’è qualcosa di insostenibile anche nell’organizzazione politico-istituzionale umana?
Le Conferenze delle Parti che l’ONU promuove annualmente per affrontare la questione globale dei cambiamenti climatici (COP) si trovano ad affrontare le stesse difficoltà della Società delle Nazioni in passato o del Consiglio dell’UE oggi. Pretendono di raccogliere il consenso di Stati si pretendono sovrani, e in questa maniera ciascuno di ha di fatto un diritto di veto. Questo non è sostenibile. La realtà impone invece di contarsi, di votare. Gli Stati dovrebbero accettare il risultato di un voto ponderato che rappresenti la maggioranza degli esseri umani. Gli Stati membri dell’UE non possono presentare una procedura decisionale senza averla prima applicata a loro stessi. Poiché i grandi Stati hanno la cattiva abitudine di negoziare tra loro in barba alla finta sovranità altrui, l’interesse degli europei in quanto europei è mal difeso. La Germania o la Francia o l’Italia, per non parlare del Regno Unito, non possono pretendere di rappresentare gli europei. Di fronte alle avversità, gli europei dovrebbero restare uniti invece di schierarsi con i più potenti. Questo si chiama federazione.
Ci aiuti per cortesia, pensando alla sua esperienza, a costruire una risposta collettiva a questa domanda: che cosa è indispensabile sapere e cosa è indispensabile imparare a fare per un essere umano oggi?
Un essere umano oggi deve conoscere i suoi diritti: Dichiarazione di Filadelfia (incorporata nella Costituzione dell’OIL); Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino; Preambolo della Carta delle Nazioni Unite; Dichiarazione universale dei diritti umani.
Per gli europei: Carta sociale europea (nota come “Carta di Torino”); Carta europea dei diritti sociali fondamentali; Carta europea dei diritti fondamentali.
Per i francesi: Preambolo della Costituzione del 1946. E per altre nazionalità, i testi equivalenti.
Deve conoscere l’ecologia scientifica e aver letto i rapporti dell’IPCC.
Deve conoscere i rudimenti dell’agricoltura biologica, in teoria e in pratica (permacultura); deve saper differenziare i rifiuti, ripulire l’ambiente e la foresta, calcolare la propria impronta di carbonio ed elaborare un piano per ridurla (isolamento termico degli edifici; autonomia energetica del nucleo familiare); se possibile, dovrebbe prendere l’iniziativa di un tale piano, alla scala del proprio comune, e chiedere al proprio comune di farlo a scala intercomunale (una buona scala è il pagus romano e, nella città, il quartiere), regionale e interregionale (una buona scala è il bacino fluviale), ecc. Deve imparare a combattere incendi, inondazioni e pandemie; a mantenere sano, riparare e ricostruire la propria casa; a trovare alternative per le “cose essenziali” in caso di necessità: a prestare il primo soccorso ai feriti, a organizzare e gestire una fattoria urbana, un banco alimentare, ecc.
Deve conoscere la storia della Resistenza; deve sapere come creare una rete e organizzare la difesa di un territorio.
Deve conoscere la storia della filosofia (non solo quella occidentale), la storia delle religioni e della saggezza, l’economia politica (non l’impostura economica), le forme di governo, soprattutto quella dei beni comuni, e diverse lingue moderne.
Letture per approfondire. Di Bernard Barthalay: Nous, citoyens des États d’Europe…, l’Harmattan, 2000; A Continental Manifesto.
Chi volesse reagire a queste risposte, ponendo altre domande a Bernard Barthalay, ci scriva a formazione@rinnovabili.it. Alla luce delle sue riflessioni, noi gli poniamo queste ulteriori questioni che valgono anche per tutti i nostri lettori:
Alla luce delle vicende europee degli ultimi 15 anni, che bilancio politico farebbe della architettura monetaria sovranazionale nell’Unione Europea?
In quanto partecipe delle vicende che hanno portato a creare l’Euro, ci sono stati momenti critici in cui si sono fatte scelte a suo parere decisive ma opinabili o, al limite, sbagliate?
Ci può precisare oggi quali cambiamenti istituzionali sarebbero necessari per la creazione di una Repubblica federale europea? È a suo parere possibile arrivarci lavorando in piena continuità con l’Unione Europea odierna?
Che cosa pensa del dibattito attuale attorno alla difesa europea?
Dal suo punto di vista, i sistemi scolastici pubblici attuali – che sono nazionali – sono in grado di perseguire gli obiettivi formativi che elenca?