Il calo del prezzo del petrolio e le nuove elezioni allontanano le trivelle dalle coste croate. Ad aspettare sviluppi sono rimaste solo ENI e Medoilgas
(Rinnovabili.it) – Un prezzo del petrolio che staziona sui 45 dollari al barile, la lentezza della burocrazia, la fine del mandato del governo. È questo il cocktail di concomitanze che ha decretato la dipartita dei colossi energetici e delle loro trivelle dal mare Adriatico. Tuttavia, la sponda interessata è quella croata, dove il piano predisposto dal governo Milanovic è fallito.
I contratti con le compagnie petrolifere assegnatarie dei “lotti” di estrazione non sono stati firmati e l’intero progetto di sfruttamento intensivo degli idrocarburi offshore è rimandato, almeno sino alle prossime elezioni, previste per la seconda metà di novembre.
«Diversamente da quanto annunciato – spiega Greenpeace – nella sua ultima riunione prima dello scioglimento del Parlamento l’esecutivo croato non ha affrontato la questione trivelle, né avviato un nuovo round per ricevere nuove offerte dalle compagnie petrolifere per lo sfruttamento degli altri lotti disponibili».
Negli ultimi mesi, inoltre, alcune delle aziende che avevano avuto in concessione 10 delle 29 aree in cui è suddiviso il piano croato hanno fatto marcia indietro. Un consorzio di compagnie, che comprende OMV e Marathon Oil, ha rimesso le concessioni relative a 7 lotti.
L’unico che al momento sembra mantenere qualche possibilità di trivellazione, secondo Greenpeace, sarebbe proprio quello assegnato a un consorzio formato da ENI e MedoilGas, la stessa compagnia responsabile del progetto Ombrina Mare in Abruzzo.
«Siamo davanti a un fallimento clamoroso della strategia fossile croata, che fa venir meno lo sciocco mantra del “se lo fanno i nostri vicini, perché non farlo anche noi?”, ripetuto in questi mesi dalle lobby petrolifere e dal governo italiano – commenta Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace Italia – Il tutto avviene per giunta nei giorni in cui anche la Shell interrompe le sue attività petrolifere nell’Artico. In vista della Conferenza sul Clima di Parigi, le grandi superpotenze mostrano segnali inediti di impegno per la riduzione delle emissioni e le compagnie petrolifere arretrano. A non accorgersi della direzione in cui vanno l’industria energetica e il mondo restano solo Renzi e il suo esecutivo».
Secondo l’associazione ambientalista, la politica delle trivelle promossa dall’Italia non starebbe in piedi a meno di escamotage economico-normativi: «Le compagnie petrolifere sono ‘invitate’ a estrarre nei nostri mari a fronte del versamento di royalties tra le più basse del mondo, con la garanzia di procedimenti di analisi delle loro istanze indeboliti, di iter di approvazione ultrasemplificati e valutazioni ambientali che ignorano i rischi peggiori di questi impianti. Diversamente, le misere e qualitativamente povere riserve di petrolio e gas sotto i nostri fondali non varrebbero un piano di investimenti, né la realizzazione di infrastrutture energetiche».