L'articolo 6 dell'Accordo di Parigi, che regola il meccanismo di compensazione delle emissioni, crea le prime spaccature. Da una parte, l'Europa, che si scaglia contro il "doppio conteggio". Dall'altra, Brasile, Cina e Arabia Saudita che vogliono che il meccanismo di crediti resti quello del protocollo di Kyoto.
Come modificare il meccanismo dei crediti di carbonio? I negoziati del vertice ONU affrontano il tema più scottante.
(Rinnovabili.it) – Alta tensione sul tema del Mercato del carbonio di cui si discute in Spagna, in occasione della 25esima Conferenza delle Parti sul Clima indetta dall’ONU. Paesi come il Brasile, la Cina e l’Arabia Saudita stanno infatti aspramente criticando l’articolo 6 dell’Accordo di Parigi e il suo meccanismo di compensazione delle emissioni attraverso un nuovo sistema di crediti di carbonio, al punto da far temere gli esperti e gli osservatori internazionali che questo duro scontro possa indebolire l’intero trattato multilaterale del 2015.
L’Accordo di Parigi, specificamente all’articolo 6, fornisce ai paesi un sistema che consente loro di adempiere agli obblighi di riduzione delle emissioni attraverso i cosiddetti “crediti di carbonio”, proprio come già avvenuto con il protocollo di Kyoto. Un credito di carbonio è un certificato equivalente ad una tonnellata di CO2 non emessa o assorbita grazie ad un progetto di tutela ambientale realizzato con lo scopo di ridurre o riassorbire le emissioni globali di gas-serra. Tuttavia, i paesi in via di sviluppo, che fino al protocollo di Kyoto non avevano restrizioni di carbonio (meccanismo che ha permesso a paesi come Brasile, Corea del Sud, Cina e India di ottenere quasi l’85% di tutti i crediti emessi), sono riluttanti ad accettare i requisiti attuali del sistema, chiedono la proroga dei progetti nell’ambito del protocollo di Kyoto e una maggiore flessibilità nell’uso dei crediti.
In tutti i casi, la partita si gioca sul meccanismo del “doppio conteggio”, con il Brasile che, ad esempio, vorrebbe vendere i suoi crediti di carbonio ad altri stati e, allo stesso tempo, contabilizzarli come riduzioni delle emissioni nazionali. Proprio per evitare questo tipo di meccanismo da “gioco delle tre carte”, l’UE sta puntando sulla definizione di un più restrittivo sistema, basato su un registro contabile globale.
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Ciò su cui punta l’Europa è il mantenimento dello spirito che ha supportato la definizione dell’articolo 2 dell’accordo di Parigi, secondo il quale l’obiettivo non negoziale è il raggiungimento delle zero emissioni su scala globale. Questo obiettivo condanna sostanzialmente il vecchio meccanismo dei crediti di carbonio, poiché evitare le emissioni deve diventare la norma e non un lusso per i paesi ricchi che pagherebbero per ridurre le emissioni di CO2 in altre parti del mondo, continuando ad emettere gas-serra.
Ma per i paesi abituati a ricevere denaro attraverso i crediti di carbonio dovuti al Clean Development Mechanism del protocollo di Kyoto, la pillola è difficile da ingoiare, specie perché il meccanismo ha comportato finora un’entrata finanziaria senza particolare sforzo. La Cina, ad esempio, ha accumulato milioni di dollari vendendo crediti da gas fluorurati utilizzati nell’industria chimica. Nel nuovo sistema stabilito dall’Accordo di Parigi, questo tipo di scambio non sarebbe più possibile, poiché i crediti di carbonio dovrebbero essere riconosciuti solo per progetti che dimostrano riduzioni nette di emissioni.
Tuttavia, poiché l’articolo 6 è la disposizione più tecnica dell’accordo, una fonte di Euroactiv appartenente al gruppo dei negoziatori ha sostenuto che, per evitare un blocco dei negoziati, “si stanno cercando formulazioni aperte che consentano di lasciare le interpretazioni tecniche per dopo“. Anche perché in ballo vi sono delicate questioni politiche. Ad esempio, la co-organizzazione del Cile della COP25 potrebbe rappresentare una buona ragione affinché il Brasile riesca a imporre almeno alcune delle sue condizioni, dato che il Cile non ha interesse a ostacolare il suo potente vicino di casa.
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