(Rinnovabili.it) – La COP22 entra finalmente nel vivo. Si aprono oggi i lavori del CMA, la riunione dei paesi che hanno già ratificato l’Accordo di Parigi e che hanno il compito di decidere i dettagli della sua implementazione. Dopo una prima settimana tanto cerimoniosa quanto deludente nei contenuti, adesso è giunto il tempo dei meeting politici a porte chiuse. Le incertezze permeano il summit di Marrakesh. L’incognita Trump e il ruolo incerto degli Usa hanno cambiato le carte in tavola, aggiungendo una discreta dose di dubbio sulla buona riuscita del vertice. Ma i problemi non finiscono certo qui: la COP22 dovrebbe essere il momento del passaggio all’azione, che per il momento però non si è vista.
Cosa è stato deciso finora alla COP22
In concreto gli Stati riuniti al vertice di Marrakesh non hanno ancora deciso nulla. Bisognerà attendere i documenti finali al termine di questa settimana per capire effettivamente se saranno stati compiuti dei passi in avanti.
Il terremoto Trump ha dominato la scena. La Cina ha dichiarato la necessità di continuare con una politica climatica globale a prescindere dalle future intenzioni degli Stati Uniti. È una buona notizia, ma resta comunque soltanto una dichiarazione tra tante.
Molti Stati hanno poi spinto affinché si chiariscano i contorni dell’Adaptation Fund, un fondo per l’adattamento che rientra nel più grande cesto dei finanziamenti climatici. In questo caso, così come per tutta la discussione sui finanziamenti, è importante che la COP22 definisca i termini della questione, perché è su questi documenti che si baserà la revisione degli impegni e della roadmap dell’Accordo di Parigi prevista per il 2018 (FD2018).
Quali sono gli intoppi
Nulla di fatto, per ora, sulle cosiddette Nationally Determined Contributions (NDC), cioè gli impegni dei singoli paesi per centrare gli obiettivi globali sul clima. Da un lato alcuni Stati hanno presentato i loro piani al 2050 (l’ultima in ordine di tempo è la Germania), altri lo faranno nelle prossime ore (tra questi Francia, Canada, Messico e Usa). Dall’altro lato, però, le discussioni su come armonizzarli restano al palo: non c’è nessun accordo sulle regole di base per la trasparenza né sulle metodologie comuni per giudicarli.
Idem per quanto riguarda i finanziamenti climatici: nessun passo avanti sui meccanismi di loss & damage (uno dei punti più controversi), né su dettagli centrali come, ad esempio, come quantificare l’importo da stanziare caso per caso, o cosa fare nell’eventualità che gli Usa si chiamino fuori. Durante questa settimana, con l’arrivo delle delegazioni politiche, qualcosa si potrebbe sbloccare.
L’Europa torna protagonista?
Tra i delegati più attivi si segnala il commissario Ue per il clima Cañete. Tra domenica e lunedì ha avuto incontri bilaterali con gli omologhi della Cina e degli Usa. Ha rilasciato una dichiarazione indirizzata a Trump, dove sosteneva che il neo presidente non può ignorare “l’enorme potenziale” della green economy nella creazione di posti di lavoro (l’impiego è stato uno dei punti più importanti della campagna elettorale di Trump).
Sempre Cañete ha guidato la pattuglia dei paesi della High Ambition Coalition per tentare di colmare il vuoto lasciato dagli Usa. Nata alla COP21, comprende 35 stati che tentano di fare da traino verso politiche climatiche più stringenti, tra cui gli stati insulari, molti paesi africani, l’Ue, paesi in via di sviluppo come Messico e Brasile. “Il nostro impegno di essere leader climatici resta fermo, come il nostro impegno a lavorare con l’intera comunità internazionale, inclusi gli Stati Uniti, per affrontare una delle più grandi sfide del nostro tempo”, si legge in una dichiarazione congiunta della coalizione di ieri sera.
Il nodo delle NDC
Parole formali e quasi dovute, ma da non sottovalutare. Per il fine settimana, infatti, la High Ambition Coalition starebbe lavorando ad un annuncio di ben altro peso, che nei corridoi della COP22 viene descritto come “una bomba”. Al netto degli entusiasmi probabilmente eccessivi, in cosa può consistere? Senza dubbio il tema più rilevante a Marrakesh sono le regole per implementare le NDC. L’urgenza, invece, è quella di disinnescare un possibile passo indietro degli Usa. Perciò è possibile che la High Ambition Coalition – ai cui incontri stanno partecipando anche i delegati Usa, decisi a velocizzare le decisioni prima del termine del mandato di Obama – opti per una posizione comune proprio sugli NDC. Una serie di regole di base, sottoscritte anche dagli Usa, che impegnano i membri a sviluppare politiche in accordo con gli obiettivi sul clima.
Resta da capire come possono essere convinti gli stati più recalcitranti. Il problema è che impegni troppo ambiziosi sono considerati un pericolo perché, se non inseriti in un processo di transizione senza scossoni, possono causare malcontento sociale. Così la pensa il Brasile, ma anche la Cina: decarbonizzare le loro economie, se non gestito bene, può provocare perdita di posti di lavoro e costo della vita più alto. Certo è che anche i paesi Ue avvertono un pericolo simile, ma più che delle proteste di piazza hanno timore che i partiti e i movimenti populisti possano approfittare del malcontento. Se davvero l’annuncio della High Ambition Coalition riguarderà le NDC, allora potrebbe contenere sì uno schema vincolante, ma nato da un compromesso al ribasso, con tempi dilatati e concessioni alle industrie.