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COP 21, nuova bozza: un pessimo accordo atteso per domani

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(Rinnovabili.it) – Alle 21 di ieri è uscita una seconda bozza di accordo sul clima. Il testo prodotto dalla COP 21 è stato ulteriormente accorciato, da 29 a 27 pagine. Di queste, 16 contengono linee di indirizzo sugli impegni delle Parti. Per l’accordo vero e proprio, che avrà la forma di un protocollo (come Kyoto), restano soltanto 11 pagine (meno di Kyoto).

Molti nodi sono stati sciolti, ma purtroppo a rimetterci sono state le opzioni più ambiziose. Dalle 1.609 parentesi iniziali, che indicano le opzioni ancora aperte, si era scesi a 361 nella bozza di mercoledì. Ieri il numero è calato a 50, segno che siamo agli sgoccioli. Domani è atteso il testo finale del patto globale sul clima, un testo che però deluderà le attese dei più speranzosi.

 

Solo impegni di facciata

cop 21 bozza accordo climaSi tratterà di un accordo fondato sugli impegni volontari di ciascun Paese, soggetti a revisione ogni 5 anni (la prima verifica è fissata nel 2023), senza un sistema sanzionatorio per chi non li rispetta. Inoltre, potrebbe passare l’opzione che prevede inventari nazionali per il calcolo delle emissioni, fatto che inficia la trasparenza rispetto a un sistema comune di conteggio. A tirare la volata saranno le economie sviluppate, che riconoscono responsabilità differenziate a quelle emergenti. Cina e India hanno vinto ancora una volta la battaglia: pur essendo il primo e il terzo emettitore mondiale, questi Paesi potranno mitigare con più calma il loro impatto sul clima planetario. La parte vincolante del protocollo, inoltre, non contiene riferimenti al rispetto dei diritti umani, sebbene un rapporto dell’UNEP uscito ieri – nella giornata mondiale che celebra questa importante conquista – evidenzi un legame indissolubile tra clima e human rights.

Per quanto riguarda gli obiettivi a lungo termine, il documento propone di mantenere l’aumento della temperatura «ben al di sotto dei 2 °C» rispetto ai livelli preindustriali. Per il più ambizioso bersaglio di 1,5 °C, resta solo una sollecitazione a sforzarsi per raggiungerlo. Nessuna data precisa è poi fissata per il picco delle emissioni, ma solo un generico «il più presto possibile». Salta anche la possibilità di fissare un termine per le emissioni zero. Questa espressione viene sostituita dalla più rischiosa «neutralità delle emissioni» da raggiungere «nella seconda metà del secolo». Un deciso ridimensionamento rispetto alle opzioni sul tavolo fino a ieri, che apre allo sviluppo delle rischiose tecnologie di cattura del carbonio.

 

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Beffati ancora i Paesi vulnerabili

Il tema del loss and damage solleva ancora grosse perplessità nei Paesi più colpiti dalle catastrofi naturali. La nuova bozza gli dedica un capitolo a sé stante, ma questa è l’unica nota positiva. Viene introdotta un’opzione che non contempla il meccanismo internazionale approvato alla COP si Varsavia, minando le basi del sistema di indennizzo delle comunità irreparabilmente danneggiate dal cambiamento climatico. La seconda opzione, invece, pur introducendo tale sistema, precisa che non può fornire una base per la responsabilità o il risarcimento. Un’altra scappatoia per i Paesi ricchi (voluta dagli Stati Uniti) che voltano definitivamente la testa ai più vulnerabili. Le Filippine l’hanno definita «una trappola». Il meccanismo, in sostanza, potrebbe entrare nel testo finale solo se svuotato della sua operatività. È come se le economie avanzate ammettessero da una parte di aver causato i cambiamenti climatici che distruggono i territori dei popoli più inermi, ma dall’altra non intendano pagare per questo.

Sui finanziamenti da far confluire nel Fondo verde per il clima è stato deciso che l’impegno dei Paesi ricchi per raccogliere 100 miliardi di dollari entro il 2020 dev’essere un punto di partenza. Viene poi sottolineata la necessità che i Paesi in via di sviluppo (in particolare India e Cina) contribuiscano «su base volontaria». In tema di adattamento, invece, sono scomparsi i riferimenti ad una revisione ogni 5 anni degli obiettivi.

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