Al vertice di Parigi COP 21 diffuso il primo accordo sul clima di scala planetaria. Ma il passo avanti è troppo piccolo per salvare centinaia di milioni di vite
(Rinnovabili.it) – COP 21, adesso è ufficiale. Abbiamo un accordo globale sul clima.
Il testo definitivo è stato rilasciato intorno alle 13,30 dall’UNFCCC, la Convenzione Quadro dell’ONU sui cambiamenti climatici, e approvato intorno alle 19,30. Si compone di 31 pagine, 19 introduttive e 12 di documento vero e proprio.
L’accordo attuale…
Il patto globale sul clima è un protocollo, come Kyoto, ma non è vincolante a livello internazionale. Si basa, invece, su impegni volontari forniti dai 196 Paesi membri dell’UNFCCC. Le regole di entrata in vigore sono le stesse del precedente: richiedono che debba essere ratificato da non meno di 55 Paesi, i quali devono complessivamente rappresentare non meno del 55% delle emissioni globali di origine antropica. Nel caso di Kyoto, questo sistema ha fatto perdere 8 anni.
Una volta entrato in forza, il patto si baserà sul principio della responsabilità comune ma differenziata: ai Paesi in via di sviluppo (in particolare India e Cina), dunque, sarà concesso di procedere con maggiore calma, a causa della loro più recente industrializzazione. La COP 21 ha fissato anche un obiettivo a lungo termine, che impone di mantenere il riscaldamento globale «ben al di sotto dei 2 °C» e sollecita sforzi per centrare l’obiettivo di 1,5 °C. Gli impegni per la riduzione delle emissioni saranno soggetti a revisione ogni 5 anni a partire dal 2023, nell’ottica di aumentarne progressivamente l’ambizione.
Sui finanziamenti climatici, utili ad implementare misure di taglio delle emissioni (mitigazione) e di difesa dalle catastrofi nei Paesi poveri (adattamento), il documento non va oltre i 100 miliardi di dollari da stanziare dal 2020 al 2025. Il piano proposto, inoltre, non è nella parte vincolante dell’accordo.
Il tema più delicato è stato quello dei risarcimenti climatici per le perdite e i danni irreparabili (loss and damage) subìti dai Paesi vulnerabili a un cambiamento climatico innescato dalle economie avanzate. Su di esso si è consumata una battaglia diplomatica all’ultimo sangue: se questa COP 21 si conclude con un giorno di ritardo, è per la forte opposizione di Unione europea e Stati Uniti a qualsiasi sistema coercitivo che li esponga a richieste di indennizzo da parte dei Paesi poveri, spezzati dai cataclismi. A tutelare la loro indifferenza è l’assenza di una clausola vincolante sul rispetto dei diritti umani, citati appena nel preambolo. In definitiva, il meccanismo internazionale istituito alla COP di Varsavia per il loss and damage «non comporta o fornisce alcuna base per qualsiasi responsabilità o compensazione». Con una decisione non vincolante, inoltre, si chiede al meccanismo di Varsavia di istituire una task force che «sviluppi raccomandazioni per evitare, ridurre al minimo e affrontare» le migrazioni relative agli impatti negativi dei cambiamenti climatici.
Intanto si potranno estrarre combustibili fossili a piacimento per molti anni ancora. Il Protocollo di Parigi non fissa alcun termine per lo sfruttamento di carbone, gas e petrolio. Tutto quel che chiede è il raggiungimento del picco di emissioni il prima possibile al fine di pervenire a «un equilibrio tra le emissioni di origine antropica […] e l’assorbimento dei serbatoi di gas serra nella seconda metà di questo secolo». Passa dunque il principio della neutralità climatica e non quello delle emissioni zero o decarbonizzazione, che faceva paura all’industria.
Infine, la deforestazione: pur ribadendo l’importanza delle foreste come serbatoi di carbonio e la necessità di ridurre il disboscamento, nessun obiettivo vincolante per la deforestazione zero è contenuto nel testo.
… E quello che si poteva approvare
Fabius lo aveva preannunciato in mattinata: «Ovviamente nessuno potrà avere il 100% di quello che vuole. Quando 196 parti si mettono su una materia complessa, ciascuna chiede il 100% e molte possono ricevere lo zero per cento, per questo devono avere spirito di compromesso».
Con tutta la buona volontà e lo spirito di compromesso, i Paesi vulnerabili agli effetti del cambiamento climatico, che potrebbero venire spazzati via dalle inondazioni o dalle siccità, quelli dai quali dovrebbero partire i 250 milioni di migranti attesi dall’ONU entro il 2050, quei Paesi pregavano per un accordo ambizioso e rispettoso dei diritti umani. Un accordo di solidarietà internazionale che fornisse a chi lotta contro condizioni impossibili un paracadute gonfiato da tutto il mondo, per cadere sul morbido. Non è stato così. Per fornire queste garanzie, il patto sul clima doveva essere un trattato vincolante a livello globale, con un aumento massimo tollerabile della temperatura globale di 1,5 °C entro fine secolo, un obiettivo di 100% rinnovabili al 2050 e un phase out dei combustibili fossili entro lo stesso termine. A catena, questo avrebbe dovuto innescare il trasferimento di almeno 100 miliardi di dollari l’anno (a partire dal 2020) a fondo perduto per programmi di mitigazione e adattamento nei Paesi più a rischio. Senza dimenticare la nascita di un meccanismo che imponesse ai Paesi ricchi a risarcire i territori vulnerabili delle perdite e i danni irreversibili (loss and damage) provocati da cambiamenti climatici di cui l’Occidente è primo responsabile.
Ma come abbiamo visto, il Protocollo di Parigi non contiene nessuno di questi elementi.
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