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COP 21, tra timori e speranze

COP 21, tra timori e speranze

 

(Rinnovabili.it) – E’ iniziata a Parigi la COP21, conferenza nella quale i rappresentanti dei paesi di tutto il mondo dovranno trovare una strada per affrontare la grave minaccia dei cambiamenti climatici, che incombe sul futuro dell’umanità. La scienza ha già descritto con chiarezza gli scenari futuri; nel suo quinto rapporto l’IPCC ha dichiarato che l’affidabilità degli studi esaminati ha sgombrato il campo da ogni ragionevole dubbio, e che purtroppo stiamo camminando lungo scenari che porteranno le temperature medie globali del pianeta a crescere fra i 3 e i 5°C rispetto ai dati di riferimento. Questa prospettiva apre gli scenari più terribili sul futuro, che bisogna ad ogni costo scongiurare. Bisogna al più presto azzerare le emissioni di gas serra, mettendoci subito in una prospettiva di una netta riduzione che comporti un aumento di temperatura non superiore ai 2°C. Si tenga presente che i confronti più recenti effettuati con il precedente grande ciclo climatico (Eemiano) risalente a circa 100.000 anni fa, mostrano che a fronte di una temperatura media globale superiore di 1,5°C rispetto a quella che oggi avremmo senza i gas serra prodotti dalle attività umane, la Terra era devastata da tempeste di enorme potenza, e il livello dei mari era di qualche metro più elevato al punto da sommergere tutte le aree costiere dove oggi sorgono le principali metropoli del mondo.

A Parigi ci si arriva dopo aver sperimentato attraverso il Protocollo di Kyoto tutte le modalità ed i meccanismi per coinvolgere in maniera vincolante la stragrande maggioranza dei Paesi del mondo che producono la maggior parte delle emissioni di gas serra. Eppure, i Paesi che producono la maggior parte delle emissioni, come gli USA, la Cina e l’India, continuano, per ragioni politiche interne, a non voler accettare impegni vincolanti, ma promettono riduzioni importanti delle emissioni su basi volontarie. A Parigi, nel tentativo di coinvolgere in un accordo globale tutti i Paesi, si arriva sperimentando un nuovo meccanismo: gli INDC, ovvero gli impegni volontari nazionali che ciascun paese promette di attuare. Quanto sia fragile e inadeguato tale meccanismo è dimostrato dal fatto che gli impegni ad oggi pervenuti, che riguardano 153 su 181 stati, e corrispondono al 95% delle emissioni, negli scenari predittivi porterebbero ad un aumento della temperatura fra i 2 e i 3°C entro la fine del secolo. Quindi non eviterebbero la catastrofe climatica, senza neanche offrire, in mancanza di un accordo vincolante sottoposto al controllo di una agenzia internazionale con autorità sanzionatoria, garanzia di un reale conseguimento degli obiettivi dichiarati. In altri termini c’è il rischio concreto che da Parigi si esca con un bel libro di buone intenzioni, incerte e insufficienti.

 

Questa incresciosa situazione nasce dal contrasto fra una realtà scientifica che prevede un futuro terribile ed un modello culturale, economico e finanziario attuale che viaggia verso la catastrofe con l’inerzia degli enormi successi ottenuti nel passato. Allora come convincere indiani e cinesi che non dovranno usare il carbone che hanno in abbondanza e che non potranno spostarsi tutti in automobile come fanno i più ricchi perché oltre al petrolio si esaurirebbero presto anche i materiali necessari a moltiplicare per 5 o per 6 il numero di automobili circolanti nel mondo? Che non potranno avere tutti il telefono mobile perché non basterebbero le terre rare di cui son fatti?

E come convincere i più ricchi che devono ridurre drasticamente i loro consumi se non vogliono vedere il loro benessere minacciato da devastanti cambiamenti climatici e da conflitti crescenti? Come spiegargli che la crescita perenne ed illimitata dei consumi, ossessivamente perseguita dalle classi politiche e dagli economisti, è fisicamente impossibile ed ormai produce più esternalità negative che benessere?

Come convincere i cittadini dei paesi ricchi che, in un mondo devastato dai cambiamenti climatici, con una popolazione sempre più numerosa che pretenderà di aver il proprio spazio di sopravvivenza e il diritto a godere dello stesso regime di consumi, le migrazioni non riguarderanno più centinaia di migliaia, ma centinaia di milioni di disperati?

A Parigi non si va per risolvere gli equilibri politici dei singoli Stati, per decidere le sorti di qualche governo o orientare future elezioni politiche; a Parigi si decide il futuro dell’umanità. Il nostro auspicio è che Parigi segni un punto di svolta nelle relazioni internazionali, nella politica, nell’economia e nella finanza.