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I conflitti di interesse di chi valuta il glifosato

I conflitti di interesse di chi valuta il glifosato

 

(Rinnovabili.it) – Quando Monsanto ha chiesto all’Organizzazione Mondiale della Sanità di ritirare lo studio che classificava il glifosato come «probabilmente cancerogeno», ha fornito un certo numero di ragioni. La più solida sottolineava come la Germania, incaricata dall’Unione Europea di uno studio di impatto nel  2014, avesse considerato «sicuro» l’erbicida della multinazionale americana. Perché questa forte divergenza sulle conclusioni? Chi ha sbagliato, e perché? Se lo sono domandato in molti, e qualcuno ha trovato la risposta. Questo qualcuno è il Corporate Europe Observatory (CEO), un watchdog che indaga sull’operato delle lobby nell’Unione Europea e per mestiere smaschera le furberie e i tentativi di inquinamento del processo politico da parte delle multinazionali.

La ragione alla base di una tale discrepanza fra la valutazione tedesca e quella dell’OMS, secondo il CEO, sta nel fatto che tre scienziati, all’interno del panel sui pesticidi incaricato dell’indagine di sicurezza, sono dipendenti di BASF e Bayer, due grossi produttori proprio di pesticidi. Il conflitto di interesse è patente e grave. Sembra incredibile, ma tra chi decide se un prodotto è tossico per la salute di un intero continente ci sono scienziati a libro paga del produttore.

 

Non solo il glifosato negli scandali scientifici

Quello tedesco non è l’unico caso in cui scienza e interesse economico stringono in un abbraccio mortale il consumatore ignaro. Il Regno Unito, ad esempio, ha provveduto a distruggere l’imparzialità dei suoi esperti alla radice: è bastato privatizzare la Food and Environment Research Agency (FERA). In Francia gli specialisti incaricati di valutare la sicurezza dei farmaci sono stati scoperti a vendere informazioni in nero alle aziende farmaceutiche, le quali richiedevano consulenze per trovare il modo migliore di presentare le domande di autorizzazione.

Ora la storia si ripete sul glifosato: la battaglia è feroce, dal momento che il principio attivo dell’erbicida Roundup è una pietra angolare del business di Monsanto: la compagnia ne ha venduto per 5 miliardi di dollari l’anno scorso, alimentando un business che ne vale tre volte tanti. I suoi vertici hanno sempre sostenuto che l’erbicida è molto meno tossico per gli animali e gli esseri umani rispetto ad altri diserbanti. Ma da quando il brevetto è scaduto nel 2000, è utilizzato da molte altre imprese: praticamente tutte le aziende chimiche nel mercato degli erbicidi.

 

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Tutti i ritardi dell’Unione

Il Roundup è spruzzato senza remore in Nord e Sud America, dove si coltivano milioni di ettari con piantagioni OGM resistenti al glifosato. Ma è ampiamente utilizzato anche dagli agricoltori europei, giardinieri e autorità pubbliche per uccidere le erbacce negli spazi pubblici o sui binari dei treni. Insieme con prodotto che lo degrada (AMPA), è il pesticida più rilevato nelle acque dei fiumi francesi. Nel 2013, i test commissionati da Friends of the Earth Europe hanno mostrato che i cittadini di 18 Paesi europei avevano tracce di glifosato nelle urine.

Molti sono rimasti sorpresi quando la Commissione Europea ha deciso di rinviare dal 2012 al 2015 la revisione dell’indagine sulla sicurezza del glifosato. In Germania, il Federal Office for Consumer Protection and Food Safety ha spiegato che il ritardo era dovuto al fatto che Commissione ed Autorità per la sicurezza alimentare (EFSA) erano oberate di lavoro. Insieme a quella sul glifosato, è stata rinviata la revisione di altri 39 pesticidi. Nel gennaio 2014, però, l’Istituto federale per la valutazione dei rischi tedesco ha presentato la sua relazione per rinnovare i permessi al Roundup e ai suoi fratelli. Il suo test ha concluso che «i dati disponibili non mostrano proprietà cancerogene o mutagene del glifosato, né che questo è tossico per la fertilità, riproduzione o lo sviluppo embrionale/fetale negli animali da laboratorio». Ad esso si è appellata Monsanto per tacciare di «scienza spazzatura» l’OMS.

 

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L’EFSA non è imparziale

Il comitato di valutazione 2014 includeva, tra gli altri, Monika Bross e Ivana Fegert di BASF, e Frank Pierre Laport di Bayer CropScience. Il precedente (2011-2013) comprendeva due elementi di BASF e due di Bayer CropScience. Quello ancora prima (2008-2010) sempre due di BASF e uno di Bayer.

Nell’EFSA, il 59% dei membri dei panel scientifici ha legami diretti o indiretti con l’industria agroalimentare, in palese conflitto di interessi. È quantomeno sospetto lavorare per una società e contemporaneamente per un ente governativo che si occupa di regolamentare il settore in cui quel gruppo opera.

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