La Banca Mondiale, dal 2007, pubblica il ranking del Logistics Performance Index (LPI), che fornisce una valutazione multidimensionale delle prestazioni logistiche di 155 nazioni, basata su sei parametri: efficienza del servizio doganale, dotazione infrastrutturale, efficacia delle spedizioni internazionali, competenza logistica, tracciabilità, puntualità.
Una grave lacuna di tale classifica sta nel fatto che essa non tiene in alcun conto i due fattori che riguardano la sostenibilità ambientale dei processi logistici: la quantità di energia consumata per tonn. trasportata/Km e le emissioni climalteranti ad essi legate.
Val la pena di ricordare che la logistica inversa è un’attività che si sovrappone alla normale logistica diretta. S’impone quindi che il suo impatto in termini di emissioni climalteranti sia mantenuto entro limiti molto ristretti, per evitare che esso vanifichi il beneficio ottenibile con il recupero dai rifiuti delle materie prime, il cui valore oltretutto è oggi al minimo storico.
Al summit sul clima COP 21 a Parigi si è parlato di moltissime soluzioni tecniche finalizzate alla preservazione del pianeta, e per tutte, nessuna esclusa, il risultato è legato alla differenza tra vantaggi e costi ambientali non risibili.
Circa il trasporto di cose, statistiche attendibili (Fondazione ITL Bologna) denunciano che in Italia il 32% dei piccoli e il 43% dei grandi autocarri viaggiano vuoti. In una battuta, la merce più trasportata è l’aria.
Da ciò si può facilmente intuire quanto potrebbe valere per la sostenibilità ambientale l’aumento, anche se solo di dieci punti percentuali, del coefficiente di riempimento dei mezzi di trasporto. E ciò senza dover sopportare alcun costo ambientale, producendo anzi effetti collaterali virtuosi, come ad esempio la minor usura dei mezzi di trasporto e il minor congestionamento viario.
Il motivo per cui a Parigi non si è trattato questo argomento non può che risiedere nella convinzione generale che la dissaturazione dei mezzi sia un fatto inevitabile. Questo non è vero.
Per essere economica e sostenibile, la logistica deve essere condivisa: solo attraverso un’integrazione ottimizzata e sistemica tra i due flussi (diretta e inversa) si riuscirà a mantenere l’impatto ambientale entro limiti accettabili.
Per ottenere ciò le strade sono due.
La prima è quella finora seguita dai grandi carriers, che però è caratterizzata da una sperequazione: il valore aggiunto derivante dall’ottimizzazione ottenuta grazie all’importante massa critica resta per la maggior parte a favore del Gruppo, con una forte mortificazione dei piccoli vettori.
La seconda è nuova, o quasi, e richiede un profondo cambiamento culturale: smettere di perseguire lo sviluppo competitivo, ma godere del vantaggio collaborativo che si può ottenere solo operando in un sistema a rete, capace di proporre un vasto panorama di opportunità di trasporto, tra le quali ogni partecipante può scegliere liberamente quella che egli giudica per lui più conveniente in quel momento.
Sembra un’utopia, ma grazie a internet, si può fare.