(Rinnovabili.it) – La Commissione europea ha agito tardi e male nello scandalo dieselgate nonostante avesse sotto gli occhi tutte le prove. E diversi paesi membri – tra i quali c’è anche l’Italia – hanno provato a ritardare l’adozione di regole più stringenti sui test sulle emissioni. È l’accusa contenuta nel rapporto finale della commissione d’inchiesta europea, creata ad hoc per indagare colpe e misfatti dell’enorme scandalo emissioni che ha travolto l’UE (e prima ancora gli USA) alla fine del 2015.
Il braccio esecutivo dell’Unione, si legge nelle conclusioni del rapporto, ha ignorato le prove dell’esistenza di test truccati che aveva fornito il suo stesso centro di ricerca, il Joint Research Centre (JRC). Il perché si trova poche righe più avanti: voleva “evitare di scaricare il fardello sull’industria”. Ma non ha mosso un dito. Bruxelles avrebbe dovuto avvertire di questi sospetti tutti gli Stati membri e richiedere informazioni specifiche (i test sono eseguiti sotto la supervisione delle diverse agenzie nazionali). Avrebbe anche dovuto spingere i paesi a indicare quali passi ritenessero necessari per trattare i veicoli che emettevano più ossidi di azoto (NOx) su strada che nei test in laboratorio.
“Il dieselgate non sarebbe successo se i nostri governi nazionali e la Commissione avessero agito in base alle loro responsabilità legali e amministrative”, sottolinea il co-autore del report Gerben-Jan Gerbrandy. È andata in modo completamente diverso. Mentre la commissione d’inchiesta era al lavoro, l’UE ha approvato una modifica dei regolamenti che, di fatto, ha reso legale l’intero dieselgate. Poi è andato in scena uno scaricabarile tragicomico, con un vertiginoso rimpallo di responsabilità tra Bruxelles e le capitali europee e tra i paesi più colpiti: non solo la Germania (tutto lo scandalo era nato da Volkswagen) ma anche la Francia e l’Italia. Scavando, si è scoperto che quasi tutte le marche di auto emettono più di quanto dovrebbero. I test truccati erano la prassi, non l’eccezione.
La commissione d’inchiesta cita anche Antonio Tajani, eurodeputato italiano in quota PPE ed ex Commissario ai Trasporti e all’Industria dal 2008 al 2014. Il rapporto sarà discusso pubblicamente a breve e Tajani potrebbe essere messo spalle al muro e quindi finire nell’occhio del ciclone, soprattutto perché è da poco il candidato ufficiale dei Popolari alla presidenza del parlamento UE. Sentito pochi mesi fa si era trincerato dietro una montagna di “non sapevo” e “non ricordo”.