(Rinnovabili.it) – Brutte notizie per chi aveva pianto di gioia al momento della decisione del Colorado di legalizzare la cannabis. La coltivazione su larga scala prevede impianti energivori che producono emissioni, e dunque contribuisce al riscaldamento globale. Ecco come la contea di Boulder, terra baciata dal sole e prediletta dai produttori di canapa, ha trovato la scusa per inventarsi una cannabis carbon tax.
L’articolo 18 del Colorado è entrato in vigore lo scorso gennaio, quando gli elettori hanno deciso di rivedere i regolamenti statali relativi alla marijuana. Da allora è permessa la coltivazione per uso privato e commerciale all’interno dei confini. Tuttavia, non erano stati presi in considerazione gli impatti ambientali della legalizzazione: magazzini e depositi da migliaia di metri quadri sono nati come funghi per riscaldare e illuminare eserciti di piante che normalmente possono anche crescere all’aperto. Secondo fonti industriali, servono fino a 5 mila kWh di elettricità per crescere circa 1 chilo di quella buona. Se si fa il paragone con la bolletta media di una casa a Boulder, diventa difficile dar torto a chi ha deciso di mettere la cannabis carbon tax. Infatti bastano 900 kWh per dare energia ad una abitazione di 220 metri quadri per un mese, meno di un quinto di quanto invece viene utilizzato per ottenere un chilo di erba, sia pure della migliore.
Per compensare l’impatto, dunque, la contea ha deciso di applicare un’imposta di 2.15 centesimi per chilo di prodotto, la quale va ad aggiungersi alla carbon tax che i residenti già pagano regolarmente da tempo per l’utilizzo di energia. Non è ancora chiaro come verrà utilizzato il flusso di cassa generato dal dazio sulla marijuana, ma intanto la contea di Boulder dichiara di volerla utilizzare come sprone per i produttori, nel tentativo di convincerli a ridurre il consumo di energia e orientarsi verso una illuminazione più sostenibile.