(Rinnovabili.it) – “Le pressioni dell’Ue per un libero commercio dell’energia mettono a rischio le azioni contro il climate change“. Lo sostiene Ilana Solomon, responsabile commercio dell’ong statunitense Sierra Club, denunciando il ritorno di fiamma di Bruxelles per le fonti fossili e il pericolo che ciò comporta per il clima e l’ambiente. Il tema energetico è diventato forse il nodo più importante del Ttip, l’accordo transatlantico sul commercio e gli investimenti che Europa e Usa stanno negoziando senza clamore da ormai 14 mesi.
Il trattato mira a creare la più grande zona di libero scambio al mondo, grazie all’abbattimento delle pur misere barriere doganali esistenti fra i due blocchi. Ma non solo: il vero scoglio da picconare, per aprire definitivamente le porte alle multinazionali di ciascuna sponda dell’Atlantico, sono le cosiddette barriere non tariffarie, cioè regolamenti e normative che salvaguardano servizi pubblici, ambiente, salute e beni comuni dalla privatizzazione. “Armonizzando” – questa la parola adoperata dai negoziatori – gli standard comunitari con quelli americani, cadrebbe ogni ostacolo alla commercializzazione di settori fino a ieri tutelati. Vale la pena? Secondo la Commissione e il governo di Obama sì, perché un partenariato transatlantico porterebbe vantaggi economici a tutti, investitori e cittadini.
La questione energia si inserisce prepotentemente nel discorso, poiché l’instabilità sul fronte orientale, a causa delle tensioni con la Russia, preoccupa tanto Bruxelles da aver prodotto un passo indietro sulle rinnovabili. La priorità adesso è diversificare le fonti di approvvigionamento, in particolare di gas. Per diminuire la dipendenza da Putin, l’Ue sta premendo su Obama affinché vengano rimossi i blocchi alle esportazioni di idrocarburi non convenzionali. Shale gas (ottenuto tramite il fracking) e petrolio da sabbie bituminose sono il regalo che Junker vorrebbe sotto l’albero di Natale, magari impacchettato nel Ttip. Ma tutto questo, seppur conveniente per gli investitori, costerebbe caro ai cittadini americani: 10 dollari al barile in più, secondo Sierra Club, poiché si renderebbe necessario un livellamento dei prezzi con gli standard internazionali. Senza contare l’esplosione incontrollata della pratica impattante del fracking, con un innalzamento delle emissioni di CO2 pari a 4,5 miliardi di tonnellate da qui al 2050.