(Rinnovabili.it) – Il climate change è un fatto destinato ad influenzare sempre più l’esistenza umana nei prossimi anni. Movimenti giovanili d’opinione come FridaysForFuture ed ExtinctionRebellion, insieme a figure come quella dell’attivista svedese Greta Thünberg, hanno contribuito a porre l’emergenza climatica al centro dell’agenda politica globale e del dibattito pubblico. Si tratta di un discreto passo avanti, considerando che fino a pochi mesi fa di questo argomento dibattevano solamente gli addetti ai lavori.
L’origine della frase ricorrente
Talvolta durante le manifestazioni per la difesa dell’ambiente, capita di leggere frasi ricorsive scritte in varie lingue in cima ai cartelli di cartone colorati portati dai ragazzi. Quasi tutte hanno un denominatore comune: “Bisogna agire adesso!”, “Rimangono solo 12 anni per salvare il Pianeta”. È la cosiddetta “12 years narrative”: un insieme di frasi opportunamente semplificate, adatte ad ambienti non accademici e vagamente sloganistiche, ma che tuttavia – come vedremo – sono dotate di significato e di legittimità scientifica.
Va sottolineato che questa narrazione non è confinata alle manifestazioni ed agli scioperi per il clima e non sta solamente sulle bocche dei millennials che le animano. La grande stampa globale, così come i più importanti opinion makers social e televisivi l’hanno abbracciata sistematicamente, senza chiedersi troppo che cosa significasse. Lo stesso Senatore Democratico USA Bernie Sanders l’ha addirittura posta (encomiabilmente) al centro della sua campagna per la corsa alle Presidenziali 2020, sostenendo: “se vogliamo continuare a vivere su un Pianeta sano ed abitabile, rimangono meno di 11 anni per completare la transizione energetica da fossile a rinnovabile, migliorare l’efficienza ed agire contro il climate change”.
Ma qual è la ratio? Su quale criterio poggia questo usato ed abusato concetto degli 11 (o 12) anni rimasti? C’è un timer da qualche parte?
In realtà questa idea comincia a circolare nell’Ottobre 2018, quando l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) realizza il suo quindicesimo Special Report (SR15), intitolato “Global Warming of 1.5 °C”. Nel rapporto, l’Istituzione Scientifica delle Nazioni Unite spiega quali sono le azioni globali da intraprendere per mantenere il riscaldamento globale al di sotto degli 1.5 °C rispetto ai livelli preindustriali (l’obiettivo primario dell’Accordo di Parigi del 2015).
I numeri principali di SR15, Global Warming of 1.5 °C, 2018
Il report, basato su più di 6000 studi scientifici, redatto da 133 tra i massimi scienziati provenienti da 40 Paesi del Mondo e validato da 1133 reviwers, conta in tutto 630 pagine; tuttavia le conclusioni che ne derivano possono essere riassunte piuttosto brevemente:
-
date le condizioni attuali di crescita economica globale, sfruttamento del suolo e del sistema energetico, il superamento degli 1.5 °C di global warming è “virtualmente certo” e giungerà entro un periodo di tempo cha va dal 2030 al 2052;
- per evitare che questo accada, sarebbe necessario entro il 2030 un taglio di emissioni di gas serra del 55% rispetto ai valori del 2017 (53.5 GtCO2eq) e del 100% (il che significa arrivare a 0 GtCO2eq nette emesse), entro il 2050;
-
concretamente ciò si tradurrebbe in una riduzione drastica del peso del carbone e del petrolio sull’energy mix mondiale (rispettivamente del 59-78% e del 47-79% entro il 2030).
Ecco quindi la ricorsività dell’anno 2030 – che è un target di medio periodo posto come riferimento da IPCC – e di conseguenza l’origine dei 12 anni rimasti (nel 2018 ne mancavano appunto 12, ora 11).
Si noti che il traguardo oggetto del report di IPCC è in realtà l’eliminazione totale delle emissioni climalteranti posto invece sul lungo periodo (2050). L’anno 2030 sarà però un termometro fondamentale per capire a che punto saremo arrivati. In effetti l’enorme trasformazione dei settori Industria, Trasporti ed Energia necessaria per non rendere inabitabile il Pianeta che popoliamo dovrebbe partire immediatamente e svilupparsi esponenzialmente proprio nel decennio ’20-’30.
Su che base scientifica proprio il 2030?
I complessi modelli climatici che permettono agli scienziati di elaborare stime per il futuro con elevati gradi di precisione, si basano niente altro che sulla termodinamica e mettono in diretta relazione le emissioni di anidride carbonica (CO2) e degli altri Greenhouse Gases (GHGs), con l’aumento del calore immagazzinato dalla Terra tramite Effetto Serra. Quanta più CO2 emettiamo, tanto più aumenta l’azione dell’effetto serra e conseguentemente il calore immagazzinato in atmosfera. Nota l’entità del riscaldamento, si misura il conseguente innalzamento della temperatura globale media. In questo modo è possibile valutare con un ridotto errore relativo la quantità di CO2 che può ancora essere emessa prima che si ecceda un certo valore di global warming (stabilito in 1.5 °C rispetto al periodo 1850-1900). Questo margine è il cosiddetto Carbon Budget: una specie di voucher rimasto da spendere al Pianeta in termini di emissioni ed inquinamento.
A questo punto l’IPCC stima la quota limite di energia da fonte fossile – carbone, petrolio e gas naturale – corrispondente al carbon budget residuo che può essere ancora prodotta. Essa non va superata, ovvero: anche un solo kWh in più da fonti non carbon-free, renderebbe più probabile e più vicino nel tempo il superamento del vincolo dell’Accordo di Parigi di 1.5 °C. IPCC considera infine diverse vie (dette glide-paths), attraverso cui raggiungere questo obiettivo, la più realistica delle quali è appunto quella che considera il 2030 come anno di riferimento per la drastica trasformazione del sistema energetico ed economico necessaria.
Usare ma non abusare
La Fisica fin qui vista viene di norma tradotta per i non addetti ai lavori in “entro il 2030 occorre dimezzare le emissioni”, metabolizzata dal dibattito ed ancora semplificata in “non c’è più tempo: rimangono solo 12 anni”. Avendo ora ben chiara la Scienza che sta alla base della “narrazione dei 12 anni” ci si rende conto di quanto essa possa essere immediata e quindi potente mediaticamente, ma anche paradossalmente controproducente. In definitiva, la frase ha senza dubbio un granello di verità, ma rischia da un lato di banalizzare il concetto e dall’altro di contribuire a creare la concezione assolutamente errata che in qualche modo la vita sul Pianeta andrà avanti senza alcun problema per i prossimi 11-12 anni, al termine dei quali il Mondo finirà. Questa ambiguità si presta anche ad esser caricaturata da una certa opinione pubblica che promuove il negazionismo climatico.
Insomma: maneggiare con cautela e soprattutto, con consapevolezza.