(Rinnovabili.it) – C’è una retorica pubblica delle grandi compagnie del petrolio, che nell’ultimo anno si sono sprecate negli impegni a rispettare le politiche climatiche, dimostrando buona volontà e comprensione dell’urgenza di cambiare modello di business. E poi ci sono i meeting degli azionisti, dai quali escono le dichiarazioni che contano, più lontano dalle telecamere e dagli occhi indiscreti dell’opinione pubblica internazionale.
Per conservare una mezza possibilità di rimanere sotto la soglia dei 2 °C, un terzo delle riserve di petrolio e la metà del gas naturale in tutto il mondo deve rimanere nel terreno. Questo secondo gli scienziati dell’University College di Londra (UCL), che hanno redatto lo studio più completo in materia. Ma il rispetto di questi limiti comporta mutamenti industriali immediati. E qui prende corpo uno spiccato problema di coerenza tra “il dire e il fare” delle Big Oil, che vale la pena di approfondire.
Exxon – Mercoledì scorso si è tenuto a Dallas l’incontro degli azionisti del colosso petrolifero, in un clima a dir poco burrascoso. Molti investitori hanno chiesto a gran voce che l’azienda inizi a fare sul serio nell’adattamento al cambiamento climatico e si prepari agli impatti della futura regolamentazione. Il CEO Rex Tillerson ha risposto che la società prende sul serio il cambiamento climatico, ma ha anche detto che la fine della produzione di petrolio «non è accettabile per l’umanità». Ha poi guidato l’opposizione verso le risoluzioni degli azionisti che chiedevano di cominciare a mitigare l’impatto climatico di Exxon e di stimare le potenziali ricadute sul business delle politiche climatiche. Non c’è stato modo nemmeno di inserire l’obiettivo dei 2 °C in un impegno formale dell’azienda.
Chevron – In vista della riunione degli azionisti a San Ramon, in California, tenutasi anch’essa mercoledì, il CEO John Walton ha sostenuto che il cambiamento climatico potrebbe effettivamente essere una buona cosa per gli obiettivi della sua azienda, richiedendo un passaggio dal carbone al gas naturale. Inoltre, ha detto Walton, non saranno i regolamenti governativi a risolvere il problema del cambiamento climatico, ma solo un importante passo avanti della tecnologia.
Gli azionisti di Chevron hanno poi respinto a maggioranza una serie di risoluzioni sul clima presentate durante la riunione.
ConocoPhillips – All’inizio di questo mese, anche Conoco ha tenuto il suo meeting annuale, precisamente a Houston. E anche qui si è ripetuta la scena: l’assemblea ha respinto una proposta di risoluzione che avrebbe richiesto alla società di essere più trasparente nelle sue pressioni politiche, in particolare per quanto riguarda le operazioni di lobbying sul tema dei cambiamenti climatici. Il CEO Ryan Lance, giovedì ha dichiarato che una tassa sul carbonio rallenterebbe lo sviluppo del settore, e che la sostenibilità deve riguardare anche il business. Tradotto: le norme sul clima fanno male al portafoglio.
Total – Al di là dell’Oceano Atlantico, la compagnia petrolifera francese sta prendendo un approccio diverso. Ha rilasciato un nuovo rapporto sulla integrazione del cambiamento climatico nella propria strategia, in cui sottolinea che – a causa dell’obiettivo dei 2 gradi – una parte delle risorse fossili del mondo non può essere sviluppata. Per questo, l’azienda vanta di aver ridimensionato il suo coinvolgimento nell’estrazione di petrolio da sabbie bituminose in Canada, e ha deciso di non trivellare in Artico. È più probabile che queste scelte derivino dal calo dei prezzi del greggio: sabbie bituminose e petrolio Artico sono tra i combustibili più costosi da estrarre nel mondo.
BP – Dopo aver pagato lo scotto della distruzione del Golfo del Messico, la britannica BP sembra avvicinarsi più alle dichiarazioni di Total che non a quelle dei giganti petroliferi americani. Al meeting degli azionisti dello scorso anno, il presidente Carl-Henric Svanberg ha dedicato gran parte del suo discorso di apertura al cambiamento climatico, impegnandosi a nome dell’azienda per una maggiore trasparenza su questioni legate al clima. In occasione della riunione di quest’anno, tuttavia, gli azionisti hanno accusato l’azienda di non aver mantenuto le promesse. Tantopiù che ad aprile il Guardian ha scoperto una lettera minacciosa nei confronti della Commissione europea, volta a indebolire le leggi su clima e inquinamento.
Shell – L’azienda con sede nei Paesi Bassi sta adottando alcune interessanti risoluzioni, ma non certo pregne della radicalità necessaria. Nella sua riunione annuale dello scorso anno, gli azionisti hanno votato per aumentare gli investimenti in energie rinnovabili e per il divieto di bonus aziendali legati alle attività che danneggiano il clima. Non solo, ma hanno anche chiesto un rapporto obbligatorio sulla compatibilità tra le attività della società e l’obiettivo dei 2 gradi stabilito in ambito ONU.
Tuttavia, questa settimana, il CEO di Shell Ben van Beurden detto che la società avrebbe subìto danni se fosse passata troppo rapidamente al business delle energie rinnovabili, e gli azionisti hanno respinto una risoluzione che richiedeva un forte impegno nella transizione.