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Clima, niente accordo sul nodo di perdite e danni

Alla COP 23 di Bonn nessun passo avanti sul meccanismo delle "perdite e danni", che dovrebbe rimborsare i paesi poveri dei disastri causati da quelli ricchi

perdite e danni

 

Nessuno paga per le perdite e danni climatici subiti dai poveri

 

(Rinnovabili.it) – Anche questa volta, decideranno la prossima. Sul meccanismo che dovrebbe governare il rimborso per i paesi poveri di “perdite e danni” (loss and damage – L&D) legati al cambiamento climatico da parte degli stati più ricchi e inquinanti, alla COP 23 non si è nemmeno iniziato a discutere.

Eppure nel 2013, alla COP di Varsavia, era stata concordata una linea di massima che prevedeva aiuti da parte di chi causava il cambiamento climatico (le regioni più sviluppate) nei confronti di chi lo subiva (i paesi più poveri). Da allora, tuttavia, il sistema è rimasto in fase embrionale, e a tutt’oggi non ha gambe per muovere i primi passi concreti.

Le idee per raccogliere i fondi destinati a coprire perdite e danni causati dagli eventi meteorologici estremi non mancano: si va da una piccola tassa su ciascuna borsa e sulle transazioni finanziarie, a un’imposta sui voli aerei. Ma i paesi più ricchi, finora, hanno bloccato qualunque progresso del negoziato su questo punto. Alla conferenza di Bonn presieduta dalle Isole Fiji, non c’è mai stata una vera intenzione di discutere gli strumenti finanziari necessari. I governi più forti hanno paura che, andando avanti nel trattare aiuti finanziari, finiranno per essere ritenuti responsabili dei danni subiti da tutto il resto del mondo. Un’idea nemmeno così peregrina, dal momento che molto spesso gli effetti catastrofici del clima possono essere ricondotti al loro uso sconsiderato di combustibili fossili per decine di anni. A questo timore si aggiunge il lobbismo delle industrie, contrarie a qualunque tassa che riguardi l’utilizzo di carbone, gas e petrolio, così come le transazioni finanziarie.

 

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Il campo si restringe al punto che resta in piedi solo un argomento: le polizze assicurative. L’assicurazione può aiutare i paesi e le comunità più esposti a ridurre i rischi derivanti dai disastri climatici. Ma da un lato non risponde perdite e dannial concetto di solidarietà legato al meccanismo loss and damage – perché comporta una spesa da parte dei governi già colpiti dalle disgrazie – dall’altro è uno strumento che non può funzionare in ogni situazione.

Crisi climatiche più lente, come l’innalzamento del livello del mare o le siccità, sono quasi impossibili da inserire in una polizza. I rimborsi possono essere d’aiuto per disastri improvvisi, come uragani o inondazioni, ma non sono così efficaci per i più piccoli e costanti impatti quotidiani. E cosa succederà, inoltre, quando le catastrofi aumenteranno di frequenza e intensità al punto da raggiungere costi tali che anche le compagnie di assicurazioni si tireranno indietro? A queste domande chiave, la COP 23 non ha risposto. E finché non si troverà una soluzione alla sperequazione di fondo causata da uno sviluppo ottenuto sulle spalle di un altro pezzo di mondo, le risposte non verranno mai.