(Rinnovabili.it) – Le divisioni economiche tra i Paesi in via di sviluppo si stanno ampliando. Alcuni crescono rapidamente, altri sono fermi. In vista della COP21 sul clima di dicembre a Parigi, gli spazi per un accordo comune sono sempre più angusti, anche perché la chiara demarcazione tra Nord e Sud del mondo, utilizzata in passato nelle trattative sul cambiamento climatico, è sempre più sbiadita.
Lo scenario è del tutto frammentato, e la divergenza di opinioni tra gli stati dell’emisfero australe rischia di rendere più arduo individuare una soluzione comune. Al fine di difendere i propri interessi, le grandi economie emergenti, i piccoli Stati insulari e quelli meno avanzati stanno stringendo alleanze sulla base di obiettivi comuni.
La cesura di Lima
Tradizionalmente, la suddivisione prevedeva due categorie: i Paesi in via di sviluppo, raggruppati nell’Annesso 1, e quelli sviluppati – giudicati maggiormente responsabili del cambiamento climatico – nell’Annesso 2. Ma alla COP20 di Lima, lo scorso dicembre, è emerso chiaramente che la linea tra i due gruppi è diventata confusa. I 192 Paesi partecipanti alla ventunesima Conferenza delle Parti, che si terrà nella capitale francese dal 30 novembre all’11 Dicembre 2015, si stanno organizzando in gruppi e gruppuscoli per promuovere le loro posizioni.
Il principio di “responsabilità comuni ma differenziate“, stabilito nel testo finale della COP20 peruviana, permette ancora di marcare una differenza nelle aspettative tra i Paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo in termini di impegni sul clima. Contemporaneamente però, demolisce i due gruppi rigorosamente definiti dal Protocollo di Kyoto. L’intenzione era quella di rendere più flessibile la struttura, tenuto conto che da Kyoto ad oggi sono cambiate molte cose: Cina e Brasile, per dirne due, oggi sono economie completamente emerse, e sarebbe un errore mantenerle ancora dentro l’Annesso 1.
Con questa decisione, al contempo, si è tuttavia dato vita ad una frammentazione che potrebbe non giovare al prossimo negoziato parigino.
Il mosaico degli interessi
Per ottenere una maggiore influenza nei negoziati delle Nazioni Unite, i Paesi in via di sviluppo avevano dato vita, già nel 1964, a un’organizzazione ombrello chiamata G77.
Si tratta ancora oggi del più grande gruppo di “Stati poveri” che partecipano ai negoziati sul clima. Il G77 contiene un’enorme varietà, comprese le potenti economie emergenti di Brasile e Cina, Paesi meno avanzati come il Mali e Nepal e anche membri dell’OCSE come il Cile, il Messico e la Corea del Sud. Il gruppo difende perciò un’ampia gamma di interessi, spesso lontani da quelli dei Paesi più sviluppati.
Infatti, dato che spesso le promesse dei primi (e in particolare quelle dell’Unione europea) non hanno dato frutti, il Sud del mondo ha continuato a cercare la forza dei numeri. Le differenze tra i membri di questi agglomerati hanno poi portato alla nascita di sottogruppi con interessi comuni. In alcuni casi, questo processo ha dato vita ad alleanze sorprendenti, come la Integrity Group (EIG), che comprende Liechtenstein, Monaco, Corea del Sud, Svizzera e Messico.
Anche il gruppo dei Like-Minded Developing Countries (LMDC) sembra essere una miscela eterogenea e forse esplosiva, dato che riunisce 18 nazioni tra cui Bolivia, Cina, Cuba, Iran, Iraq, Mali, Sri Lanka e Arabia Saudita.
Tra le altre suddivisioni esistono alcune organizzazioni geografiche, tra cui il gruppo africano e l’Associazione Indipendente dell’America Latina e dei Caraibi (AILAC).
Altre configurazioni internazionali sono organizzate intorno alla situazione economica o ambientale; l’Alleanza dei piccoli Stati insulari (AOSIS) è particolarmente sensibile agli effetti di aumento del livello del mare, mentre e il Gruppo dei Paesi meno sviluppati (LDC) rappresenta quelli più economicamente vulnerabili.
Questa abbondanza di raggruppamenti nel Sud del mondo non dà solo il segno della frammentazione degli interessi: molte materie vengono negoziate all’interno della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), ed è quindi difficile per le delegazioni seguire tutte le trattative e mettersi nella posizione migliore per fare proposte.