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Clima: nazioni del G20 ancora guidate dai combustibili fossili

Secondo il rapporto di Climate Trasparency, le venti maggiori economie del mondo continuano a muoversi secondo le logiche dell’industria dei combustibili fossili, vanificando di fatto gli sforzi per cercare di salvare il clima

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Russia, Arabia Saudita e Turchia i paesi più legati ai combustibili fossili

 

(Rinnovabili.it) – La nazioni del G20 continuano a essere guidate dall’industria dei combustibili fossili, le sovvenzioni a carbone, petrolio e gas son salite e l’azione per il clima è fuori rotta in quasi tutti i paesi del mondo. Il rapporto stilato da Climate Trasparency ci va giù pesante e mette in luce una situazione piuttosto sconcertante: i politici sembrerebbero prestare attenzione più all’industria dei combustibili fossili che ai consigli degli scienziati, vanificando di fatto ogni sforzo compiuto per cercare di salvare il clima. Secondo il rapporto, infatti, tra le nazioni del G20, 15 avrebbero registrato un aumento delle emissioni lo scorso anno, tutti paesi nei quali l’82% dell’energia è ancora fornita da carbone, petrolio e gas. Questa situazione è stata facilitata da un raddoppio delle sovvenzioni negli ultimi 10 anni, passate dai 75 miliardi di dollari del 2007 a 147 miliardi di dollari nel 2016. Nonostante abbiano manifestato tutti la volontà di cambiare, di fatto si sta facendo ancora troppo poco e troppo lentamente e così facendo il riscaldamento globale rischia un aumento di 3,2 °C nelle temperature globali medie, più del doppio della soglia parigina di 1,5 °C, che per gli scienziati rappresenta l’ultima possibilità di salvare le barriere coralline, l’ecosistema artico e il benessere di centinaia di milioni di persone, a rischio siccità, inondazioni e incendi boschivi.

 

Andando nel dettaglio, tra le 20 maggiori economie del mondo, soltanto l’India si sta muovendo nella direzione giusta, quella cioè per contenere il riscaldamento globale al di sotto dei 2 °C; i peggiori trasgressori, invece, sono Russia, Arabia Saudita e Turchia, che porterebbero il mondo a un’aumento delle temperature medie globali di 4 °C. La Cina, il più grande emettitore del mondo, ha stabilizzato le sue emissioni di carbonio per un paio di anni, per poi invertire di nuovo questa tendenza positiva dallo scorso anno. Indonesia, Brasile e Argentina hanno promesso di contrastare la deforestazione, ma in realtà il tasso di distruzione delle foreste non mostra alcun segno di inversione. La Gran Bretagna è quella che sembra aver compiuto la transizione più rapida, con un declino del 7,7% nell’uso di combustibili fossili tra il 2012 e il 2015, ma il rapporto ha avvertito che il trend potrebbe cambiare negli anni a venire perché il governo aveva tagliato il sostegno per le tariffe feed-in, l’efficienza energetica e case a zero emissioni.

 

Alla base di questa situazione, secondo gli autori, ci sarebbero pressioni politiche a favore dei combustibili fossili che lavorano contro un’efficace azione per il clima.C’è una grande lotta da parte dell’industria dei combustibili fossili contro le rinnovabili a basso costo – ha detto Jan Buerck, uno degli autori del rapporto – La vecchia economia è ben organizzata e hanno esercitato un’enorme pressione di lobbying sui governi per spendere soldi delle tasse per sovvenzionare il vecchio mondo”. I colloqui sul clima delle Nazioni Unite, a Katowice nel mese di dicembre, avvieranno un processo biennale affinché i governi possano rispettare gli impegni presi per ridurre le emissioni. Anche se ci sono leader nazionali ostili alla lotta al cambiamento climatico, come negli Stati Uniti e in Brasile, c’è ancora speranza che saranno aperti ad assumersi la loro parte di responsabilità.

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