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Rendimento agricolo e sicurezza alimentare, quanto pesa il clima estremo?

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Clima estremo: le variazioni di temperature  rappresentano i fattori più critici per il rendimento agricolo

(Rinnovabili.it) – Aumentare la comprensione dell’impatto climatico sull’agricoltura è fondamentale per migliorare la capacità di recupero del sistema alimentare globale. Con questo obiettivo in mente un gruppo di ricercatori internazionali ha voluto quantificare, per la prima volta, la relazione tra clima estremo e anomalie di rendimento nelle colture di base, ossia grano tenero, soia, mais e riso. La ricerca pubblicata all’inizio di maggio su Environmental Research Letters, mostra come eventi quali siccità, ondate di calore o inondazioni siano responsabili fino al 43% delle variazioni di produttività agricola.

 

Per lo studio, gli scienziati hanno utilizzato un database agricolo mondiale che fornisce dati a risoluzione spaziale sub-nazionale combinati con quelli dati climatici e meteorologici. Il tutto è stato dato in pasto ad un algoritmo di apprendimento automatico per scoprire gli elementi con il ruolo più importante nell’influenzare i raccolti. Il risultato? Durante la stagione di crescita di mais, riso, soia e grano tenero, i fattori climatici spiegano il 20%-49% delle fluttuazioni di rendimento agricolo (la percentuale cambia a seconda della cultura presa in esame). In questo contesto, il clima estremo rappresenta da solo il 18% -43% di queste variazioni interannuali nella resa colturale.

È interessante notare come i fattori climatici più importanti per le anomalie di rendimento siano quelli legati alla temperatura, non alle precipitazioni, come invece ci si potrebbe aspettare”, spiega Elisabeth Vogel, autrice principale della pubblicazione e ricercatrice presso l’Università di Melbourne.

 

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Il team ha sviluppato un indicatore composito per identificare i territori con hotspot critici, ossia fondamentali per la produzione agricola mondiale e allo stesso tempo fortemente sensibili sotto il profilo climatico. Queste regioni includono il Nord America per la produzione di mais, grano tenero e soia, l‘Asia per la produzione di mais e riso e l’Europa per la produzione di grano tenero. “Abbiamo scoperto che la maggior parte di questi hotspot sembrano trovarsi nelle regioni con una produzione agricola industrializzata”, aggiunge Vogel, sottolineando, tuttavia, come i mercati globali non siano l’unica fonte preoccupazione.

 

Per tutti quei territori, infatti, dove l’agricoltura fornisce il principale mezzo di sostentamento, il fallimento di queste colture di base può essere devastante. Basti pensare alla produzione di mais in Africa: nonostante la quota africana si modesta rispetto alla “torta mondiale” (appena il 7%), si tratta di un elemento fondamentale per la sicurezza alimentare del Continente. Se, ad esempio, in Nord America solo il 3% del granturco coltivato è destinato al consumo umano, la percentuale sale fino al 70% nell’Africa sub sahariana. “Nel nostro studio, abbiamo scoperto che i raccolti di granturco in Africa mostravano uno dei rapporti più forti con la variabilità climatica della stagione di crescita; infatti era la seconda varianza più elevata per qualsiasi combinazione colture / continenti, suggerendo l’alta dipendenza dalle condizioni climatiche”.

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