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Il clima è già cambiato, Legambiente: servono urgenti interventi di adattamento climatico

Mappando gli eventi meteorologici estremi abbattutisi sulle principali città italiane, il Rapporto di Legambiente evidenzia gravi carenze in materia di adattamento climatico: siamo l’unico grande paese senza un piano che permetta di individuare le priorità di intervento

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Credit: Osservatorio Legambiente

Gli eventi meteorologici estremi colpiscono la penisola con sempre maggiore frequenza. Le città italiane sono in grave pericolo. Serve un piano di adattamento climatico 

(Rinnovabili.it) – Presentato questa mattina a Roma presso la rappresentanza in Italia della Commissione europea, il rapporto 2019 dell’Osservatorio di Legambiente sull’impatto dei mutamenti climatici in Italia fotografa una situazione molto grave e per la quale urgono immediati interventi di adattamento climatico.

Dal 2010 ad oggi – evidenzia il Report – gli eventi registrati sulla mappa del rischio climatico sono stati 563, con impatti rilevanti in 350 Comuni. Solo nel 2018, il nostro Paese è stato colpito da 148 eventi estremi, che hanno causato 32 vittime e oltre 4.500 sfollati. Il bilancio, di molto superiore alla media calcolata negli ultimi cinque anni, evidenza che, come da titolo del Report, “il clima è già cambiato”. 

L’acqua alta a Venezia ne è solo una piccola per quanto eclatante dimostrazione: secondo le elaborazioni di Enea, le aree più a rischio d’innalzamento dei mari sono circa quaranta e comprendono città come, Trieste, Ravenna, Pescara, Taranto, La Spezia, Cagliari, Oristano, Trapani, Marsala e Gioia Tauro. 

 

Paradossalmente, l’accesso all’acqua è un altro tema di enorme rilevanza poiché, in una prospettiva di lunghi periodi di siccità, rischia di diventare sempre più difficile da garantire. La situazione nel nostro Paese, già oggi, è complicata, in particolare al Sud, per quanto riguarda la qualità del servizio idrico e nel 2017, nei quattro principali bacini idrografici italiani (Po, Adige, Arno e Tevere) le portate medie annue hanno registrato una riduzione media complessiva del 39,6% rispetto alla media del trentennio 1981-2010. Un trend destinato a crescere. 

Ma il dato più preoccupante riguarda il continuo innalzamento delle temperature, la cui media nelle città italiane è cresciuta a ritmi maggiori rispetto al resto del Paese. Le ondate di calore – chiarisce Legambiente – rappresentano il principale fattore di rischio con rilevanti conseguenze sulla salute delle persone. Uno studio epidemiologico realizzato su 21 città italiane ha evidenziato infatti l’incremento percentuale della mortalità giornaliera associata alle ondate di calore, registrando 23.880 morti solo tra il 2005 e il 2016. Anche in questo caso, senza adeguati interventi di adattamento climatico, il trend non potrà che aggravarsi: secondo una ricerca del progetto Copernicus european health su 9 città europee, nel periodo 2021-2050 vi sarà un incremento medio dei giorni di ondate di calore tra il 370 e il 400%, con un ulteriore aumento nel periodo 2050-2080 fino al 1100%. Le conseguenze in fatto di decessi saranno enormi, passando da una media di 18 a 47-85 al 2050 e a 135-388 al 2080.

 

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Di fronte a processi di questa dimensione in Italia e nel mondo abbiamo bisogno di un salto di scala nell’analisi e nelle politiche – ha dichiarato il vice presidente di Legambiente Edoardo Zanchini –  di sicuro è necessaria una forte accelerazione delle politiche di mitigazione del clima, per invertire la curva delle emissioni di gas serra come previsto dall’Accordo di Parigi. Ma in parallelo dobbiamo preparare i territori, le aree agricole e in particolare le città a impatti senza precedenti. Il problema è che il nostro Paese non è pronto e non ha ancora deciso di rendere questi interventi prioritari, fornendo strumenti e risorse alle città italiane”.

Legambiente chiede perciò al governo di approvare quanto prima il Piano di adattamento climatico e di mettere le città, cioè le zone più a rischio per le conseguenze dei cambiamenti climatici, al centro delle priorità di intervento. In particolare, chiarisce l’Associazione, occorre fermare le costruzioni in aree a rischio idrogeologico approvando una Legge che cambi le regole di intervento nei territori e rivedendo il modo di intervenire nelle città per adattare gli spazi urbani alle piogge e alle ondate di calore.

Un ultimo accenno riguardo ai costi per l’adattamento climatico. Dal 1998 al 2018, l’Italia ha speso, secondo i dati Ispra, circa 5,6 miliardi di euro (300 milioni all’anno) in progettazione e realizzazione di opere di prevenzione del rischio idrogeologico, a fronte di circa 20 miliardi di euro spesi per “riparare” i danni del dissesto (dati del CNR e Protezione civile). Un rapporto cioè tra prevenzione e riparazione di uno a quattro.

 

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