(Rinnovabili.it) – I negoziati delle Nazioni Unite sul clima, iniziati a Bonn la scorsa settimana, procedono con lentezza esasperante. I negoziatori sembrano ancora ebbri del successo raggiunto alla COP 21, e non si stanno affrettando nella sua messa in pratica. Tuttavia, l’urgenza di lavorare alla ratifica è massima: proprio in questi giorni lo Sri Lanka cerca di recuperare dalle peggiori inondazioni della sua storia, l’India fa registrare picchi mai visti di temperatura (51 °C) e Carbon Brief avverte che ci restano solo cinque anni, agli attuali tassi di emissione, prima di superare la soglia di +1,5 °C.
In questa seconda settimana di negoziati si attende qualche notizia a proposito del tema più scottante sul tavolo dei delegati: come trovare e allocare, entro il 2020, 100 miliardi di dollari in finanziamenti per l’adattamento e la mitigazione dei cambiamenti climatici, come convenuto nell’accordo di Parigi.
Mentre la polvere si deposita sul momento di gloria dello scorso dicembre, l’attenzione si sposta adesso sulla sua entrata in vigore. A questo proposito, l’Ungheria ha completato per prima la ratifica del protocollo, con un voto che anticipa la Francia. Il Senato transalpino aveva in programma di votare l’8 giugno, regalando al Paese la palma di primo in Europa ad accettare l’accordo sul clima. Ma è stato battuto sul tempo da Budapest.
Christiana Figueres , segretario esecutivo uscente dell’UNFCCC, la scorsa settimana ha ricordato a tutti di mettere i diritti umani al centro dello sviluppo. Il suo posto verrà preso dalla messicana Patricia Espinoza alla COP 22 di quest’inverno a Marrachech.
Tuttavia, non sembra esserci l’intenzione di centrare il nuovo Clean Developement Mechanism (CDM) inserito nell’accordo di Parigi sul rispetto dei diritti umani. Il meccanismo di sviluppo pulito era nato con il Protocollo di Kyoto, per permettere alle imprese dei Paesi industrializzati (con vincoli di emissione) di realizzare progetti che mirano alla riduzione delle emissioni nei Paesi in via di sviluppo. Ma fino ad oggi si è rivelato un sistema che, sotto la copertura dell’ONU, ha permesso alle multinazionali di fare soldi a spese delle comunità locali, espropriate e violate proprio perché mancano i vincoli al rispetto dei loro diritti fondamentali. Il tutto poi senza smettere di inquinare, ma semplicemente acquisendo crediti di carbonio altrove e spendendoli in patria.
L’accordo sul clima propone che il meccanismo contribuisca «alla mitigazione dei gas serra» e supporti «lo sviluppo sostenibile». Tuttavia, manca una definizione chiara di questo termine, centrata sul rispetto del lavoro e dei diritti. Gli osservatori temono che rinviando ancora la discussione di merito sul tema, resterà aperta la scappatoia per costruire grandi dighe o centrali a carbone nei Paesi poveri, facendole passare per operazioni umanitarie approvate dall’ONU. Lo special rapporteur delle nazioni Unite su diritti umani e ambiente, John Knox, ha fornito 16 pagine di raccomandazioni per implementare positivamente il CDM. Ma i negoziatori non sembrano interessati a mettere a tema questi argomenti nel vertice di Bonn.