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Clima, a Bonn si apre la COP 23 senza grandi speranze

COP 23

COP 23

 

I negoziatori di 196 paesi riuniti nella COP 23 fino al 17 novembre

 

(Rinnovabili.it) – La parola chiave sarà «dialogo facilitativo». Con questa espressione criptica si apre la COP 23, la Conferenza sul clima in cui i negoziatori di 195 paesi più l’Unione Europea sono chiamati a fare passi avanti nella riduzione delle emissioni di gas serra. Dopo l’Accordo di Parigi, approvato due anni fa ed entrato in vigore il 4 novembre 2016, i leader globali sono chiamati al compito più difficile: chiudere il divario tra gli obiettivi fissati dall’accordo e i contributi nazionali volontari. Finora, balla almeno 1 °C tra i due trend. Se non verrà aumentata l’ambizione, i piani di riduzione delle emissioni presentati dai governi porteranno ad un aumento delle temperature tra 2,7 e 3 °C – a seconda delle stime – entro fine secolo (rispetto ai livelli preindustriali), contro una soglia concordata che dovrebbe assestarsi ben al di sotto dei +2 °C, meglio se +1,5 °C.

Per questo serve un dialogo facilitativo, cioè un negoziato che crei le condizioni, alla prossima COP 24 in Polonia, di trovare un metodo comune per implementare realmente l’Accordo di Parigi. Sarà dunque una conferenza piuttosto tecnica, questa che da oggi al 17 Novembre avrà luogo nella ex capitale tedesca. Il meeting si svolge in Europa per motivi logistici, ma la presidenza è affidata alle Isole Fiji. Il primo ministro, Frank Bainimarama, ha chiesto un’azione più urgente per ridurre le emissioni.

 

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«La sofferenza umana provocata dall’intensificarsi degli uragani, degli incendi, delle siccità, delle inondazioni e le minacce alla sicurezza alimentare causate dal cambiamento climatico ci dicono che non c’è tempo da sprecare», ha detto nella sua dichiarazione di ieri, illustrando i suoi obiettivi.

COP 23I delegati dei 196 paesi presenti a Bonn lavoreranno su un regolamento dettagliato che serva da guida per l’attuazione dell’accordo sul clima di Parigi, descrivendo le modalità secondo cui i paesi segnalano, verificano e controllano i loro progressi verso gli obiettivi di Parigi. Ma non mancano le divergenze sulla natura di questo documento: Cina, India e altre economie emergenti hanno chiarito che non accetteranno alcuna pressione.

«Dovrebbe essere un dialogo, non un negoziato – ha detto Xie Zhenhua, capo negoziatore cinese alla COP – L’obiettivo è che i paesi condividano le loro migliori pratiche, avanzino le loro richieste per combattere il cambiamento climatico e in ultima analisi facilitino il sostegno globale, soprattutto dai paesi sviluppati, ai paesi in via di sviluppo».

Le parti, chiariscono indiani e cinesi, non hanno dato mandato alla Presidenza di rendere prescrittivo questo processo: non vogliono che il regolamento indichi come fare quel che c’è da fare, ma solo che aiuti a comprendere il modo in cui ciascuno intende agire.

«I paesi possono volontariamente decidere di aumentare i loro contributi in qualsiasi momento, ma non possono essere costretti a farlo», mettono le mani avanti.

 

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Si ripropone dunque lo schema classico che ha portato quasi sempre allo stallo nelle conferenze sul clima: la contrapposizione tra paesi in via di sviluppo e paesi più ricchi, titolari di «responsabilità comuni ma differenziate». Un abito che sta sempre più stretto al colosso cinese, primo inquinatore mondiale, ma che finora è riuscito a rinviare impegni concreti.

Il tutto sarà reso più difficile dallo spettro di Trump, che dopo aver annunciato di voler uscire dall’Accordo di Parigi e aver smantellato tutta la regolamentazione di Obama sulle emissioni di carbonio, è visto come la scheggia impazzita che può far deragliare questi negoziati. Fino al novembre 2020, infatti, gli USA non potranno tirarsi fuori dal patto climatico, quindi le prossime COP sono destinate ad accogliere delegazioni di negoziatori statunitensi con il mandato di non concordare alcun progresso vincolante. Mentre il neo presidente USA continua a negare le responsabilità umane del cambiamento climatico, un nuovo rapporto della NOAA, revisionato da altre 12 agenzie e approvato controvoglia dalla Casa Bianca, afferma esattamente l’opposto.

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