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Cina, nel 2018 più di 200 milioni di metri cubi di rifiuti scaricati in mare

Nonostante le nuove politiche in fatto di tutela ambientale, il 2018 è stato per la Cina l’anno peggiore dell’ultimo decennio. Il Paese ha scaricato nelle sue acque costiere oltre 200 milioni di tonnellate di metri cubi di rifiuti, cioè il 27% in più dello scorso anno

rifiuti in mare
Petr Kratochvil (publicdomainpictures.net)

 

Per la Cina lo smaltimento dei rifiuti rimane un’emergenza molto seria

(Rinnovabili.it) – Nel 2018, la Cina ha riversato nelle sue acque costiere un totale di 200,7 milioni di metri cubi di rifiuti, cioè il 27% in più rispetto all’anno scorso. Si tratta del livello più alto mai raggiunto nell’ultimo decennio. Nel dettaglio, si parla in media 24 chilogrammi di rifiuti galleggianti – l’88,7% dei quali in plastica – ogni 1.000 metri quadrati di acque superficiali.

A renderlo noto è il Ministero dell’ecologia e dell’ambiente (MEE), che ha anche evidenziato come la maggior parte dei rifiuti sia stata scaricata nelle regioni dei delta dei fiumi Yangtze e Pearl, dove cioè si trovano le principali e più attive zone industriali della costa orientale del Paese. “Al momento, ci sono alcuni chiari problemi circa il lavoro da svolgere in tutela dell’ambiente ecologico marino – ha ammesso Huo Chuanlin, vicedirettore della marina del MEE  alcune regioni non hanno dimostrato alcuna consapevolezza o prestano sufficiente attenzione; mancano iniziativa e dedizione”. 

 

Tuttavia, Huo ha affermato anche che le “condizioni generali” delle acque costiere cinesi, comprese le acque reflue che entrano nei mari dai fiumi, stanno migliorando e che per questo la Cina non può essere da sola incolpata di una “crisi globale” che sta inquinando gli oceani: “la Cina – ha detto Huo – rappresentando circa il 30% del totale mondiale ed è il principale produttore ed esportatore di prodotti in plastica, ma ciò non significa che sia anche il principale responsabile dell’inquinamento marino (da plastica)”.

 

 

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In ogni caso, qualcosa si muove: a inizio 2019 Pechino ha pubblicato un piano d’azione progettato per ripulire la baia di Bohai, una delle vie navigabili più trafficate e inquinate dell’intero Paese, stanziando 7 miliardi di yuan (circa 990 milioni di euro) per il risanamento dell’area. L’obiettivo – difficile da raggiungere a detta dello stesso Huo – sarebbe quello di rendere almeno il 73% delle acque Bohai “idonee al contatto umano” entro il prossimo anno. Inoltre, un piano ancor più ambizioso vorrebbe rendere circa il 30% delle acque costiere cinesi “completamente vietate allo sviluppo”.

 

La Cina, lo ricordiamo, ha anche varato una serie di normative più stingenti riguardo l’importazione di rifiuti solidi dall’estero, puntando a raggiungere l’obiettivo dello 0% di importazioni entro il 2020. Si tratta di un cambio di rotta importante, considerando che solo nel 2018 il Paese ha importato un totale 22,6 milioni di tonnellate di rifiuti solidi, cioè un quantitativo simile al volume di scarti in plastica prodotto annualmente da tutti gli Stati membri della Ue. Parallelamente, il Governo cinese ha avviato anche una vera e propria battaglia al contrabbando di rifiuti con centinai di arresti in tutto il Paese ed approvato l’introduzione di un divieto all’importazione di diverse varietà di scarti di acciaio, rame e alluminio. Si tratta di manovre e programmi indispensabili, considerando che stime nazionali parlano di accumulo di soli rifiuti solidi di circa 60-70 miliardi di tonnellate ancora da sottoporre a riciclo e smaltimento. 

 

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