L'inquinamento industriale legato alla lavorazione di questi preziosi minerali sta avvelenando le campagne e i villaggi della regione intorno alla città di Baotou
(Rinnovabili.it) – Il monopolio che la Cina detiene sul mercato delle terre rare non deve preoccupare solo l’industria dell’hi-tech e del green-tech occidentale. L’attuale situazione ha, infatti, un risvolto forse inaspettato ma molto più preoccupante. Le fabbriche che nella Mongolia Interna lavorano i minerali estratti dalle cave per ottenere le cosiddette “rare-earth”, stanno inquinando tutto il territorio limitrofo e mettendo gravemente a rischio la vita di chi abita nei villaggi e nelle campagne della regione.
Una situazione drammatica, visibile anche a occhio nudo come racconta in questi giorni il quotidiano inglese The Guardian. Nel mirino dell’inchiesta è finita la città di Baotou, oggi la più grande fonte nazionale di questi elementi strategici (due terzi della produzione cinese avviene qua); i minerali grezzi vengono estratti a Bayan Obo, 120 chilometri più a nord, e poi portati negli impianti cittadini per essere separati e purificati attraverso tecniche idro-metallurgiche e bagni acidi. Le acque sporche del bacino di decantazione contengono ogni sorta di sostanze chimiche tossiche, ma anche elementi radioattivi come il torio e, come è facile intuire, particolarmente dannosi per la salute umana e l’ambiente. Dal 1958, anno dell’istallazione del primo impianto di lavorazione delle terre rare, ad oggi, il terreno ha smesso di dare frutti, le coltivazioni sono state completamente abbandonate, gli animali si sono ammalati e in soli dieci anni la popolazione è scesa da 2.000 a 300 persone.