(Rinnovabili.it) – Nel paese con l’acqua più privatizzata del Pianeta lo stop ad un maxi-progetto idroelettrico fa esultare le associazioni ambientaliste che lo combattono. Siamo in Cile, a pochi chilometri dalla capitale del paese andino e precisamente nella valle del Maipo. Qui, sulle falde della Cordigliera dove i ghiacciai si sciolgono rapidamente e le compagnie minerarie dettano legge, il progetto di costruire due impianti idroelettrici ha scatenato una lotta che va avanti dal 2007. Lotta che arriva in questi giorni ad un punto di svolta. Ieri le autorità statali hanno annunciato sanzioni contro il progetto di Alto Maipo per gravi violazioni ambientali. Pochi giorni prima, una delle due aziende dietro il progetto ha venduto le sue quote all’altra, abbandonando investimenti che non sembrano più così convenienti. E il diritto all’acqua si inizia a prendere la rivincita.
Le violazioni ambientali di Alto Maipo
L’azienda sotto accusa è la AES Gener, branca locale della compagnia statunitense. Nel procedere con i lavori di costruzione, negli ultimi 3 anni la AES avrebbe commesso ben 14 violazioni, di cui 9 qualificate come gravi. Non è affatto scontato che le istituzioni statali vigilino approfonditamente sul progetto, che prevede 2 miliardi di investimenti per due centrali da 531 MW totali oltre alle opere accessorie collegate.
Nel 2009 era arrivato il via libera, nonostante le comunità indigene fossero state estromesse dalle consultazioni e la valutazione d’impatto ambientale contenesse più lacune che dati. Nel 2011, una commissione d’inchiesta parlamentare chiamata a far luce sulla vicenda era arrivata alla conclusione che il progetto era stato approvato in maniera irregolare, ma poi non aveva mosso un dito e la costruzione degli impianti idroelettrici era iniziata.
Tutti i rischi del progetto
In pratica, come troppo spesso capita in un Cile ancora imbrigliato dall’eredità della shock economy dell’èra Pinochet, l’uso dell’acqua per progetti energetici e minerari schiaccia il diritto all’acqua della popolazione. Nel report redatto dalla commissione d’inchiesta vengono specificati tutti i rischi per l’ambiente legati al progetto di Alto Maipo. La minaccia alle risorse idriche locali, alle foreste vergini, alle aree protette del Cajon del Maipo (che attirano 1,6 milioni di turisti l’anno), alla formazione glaciale Morado che è considerata monumento nazionale.
E ancora, il rapporto sottolineava l’irreversibile degradazione del bacino del Maipo e la distruzione dei bacini del Volcan, Yeso e Colorado, tutti affluenti del primo. Un disastro ambientale di proporzioni abnormi se si volge lo sguardo alla capitale Santiago, appena più a valle: il progetto, si leggeva nel report, mette a rischio la principale fonte di acqua potabile per i suoi 7 milioni di abitanti.
Tra oligarchi e banche straniere
Più di queste sanzioni, però, pesa il forfait dato pochi giorni fa dal partner di AES, cioè Antofagasta Minerals, società del gruppo Luksic che controlla numerose imprese in campo minerario, energetico, alimentare, bancario e delle telecomunicazioni, ed è la maggiore holding finanziaria e industriale cilena (è di proprietà di una delle famiglie più ricche del Cile). Antofagasta Minerals ha venduto la sua quota del 40% al socio dopo il continuo lievitare dei costi (saliti del 10-20% oltre il budget stimato inizialmente), dando un altro duro colpo alla fattibilità economica dell’intero progetto.
Altra spallata a Alto Maipo arriva con il tentativo di bloccare i principali flussi di investimento. Ci provano Marcella Mella e Juan Pablo Orrego, rispettivamente portavoce del comitato di coordinamento cittadino in difesa del Cajon del Maipo e direttore dell’organizzazione cilena Ecosistemas. Nei giorni scorsi hanno contattato la Banca Mondiale e l’Inter-American Development Bank, chiedendo alle istituzioni finanziarie di rivedere il loro appoggio al progetto alla luce delle minacce all’ambiente e ai diritti umani, in palese contrasto con le loro policy per gli investimenti.
Non è una lotta di pochi. Già nel dicembre del 2015 nelle strade della capitale erano sfilate oltre 30mila persone, una grande manifestazione per denunciare che il progetto di Alto Maipo non è sostenibile dal punto di vista ambientale e sociale. Altre manifestazioni sono seguite, tutte incentrate sul diritto all’acqua, per la nazionalizzazione delle risorse idriche volta a renderle un bene comune sottratto alla speculazione del mercato e delle aziende private.