Il 1° studio che quantifica lo sforamento di questo limite del Pianeta
(Rinnovabili.it) – Le attività umane come la costruzione di dighe e l’irrigazione su larga scala, oltre al riscaldamento globale antropico, hanno alterato così tanto il ciclo dell’acqua dolce che la sua capacità di regolare processi ecologici e climatici cruciali è a rischio. Non da oggi, ma fin dal 1950. È attorno alla metà del secolo scorso che l’umanità ha oltrepassato i limiti del Pianeta per l’acqua di fiumi, laghi e falde.
Per oltre 70 anni, quindi, abbiamo continuato a spingere il ciclo dell’acqua ben più in là delle condizioni stabili in cui si trovava prima dell’inizio dell’era industriale. Lo ha calcolato uno studio apparso su Nature Water, il primo a stimare con più precisione la data dello sforamento. L’anno scorso, un aggiornamento dello studio pionieristico di J. Rockström sui planetary boundaries aveva confermato il superamento di questa soglia (insieme ad altri 5 limiti del Pianeta su 9), ma non aveva fornito una visione così granulare.
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Per riuscirci, un gruppo di ricerca guidato dall’università di Aalto, in Finlandia, ha raccolto i dati sul flusso mensile e l’umidità del suolo in tutto il mondo con una griglia di risoluzione spaziale di 50 x 50 chilometri, basandosi sui modelli idrologici che combinano tutti i principali impatti umani sul ciclo dell’acqua dolce. Il riferimento temporale di base utilizzato sono i due secoli tra il 1661 e il 1860.
Il risultato registra un incremento della frequenza di condizioni eccezionalmente anomale di siccità o di umidità molto marcato, che dalla metà del secolo scorso hanno riguardato una porzione significativamente più ampia del Pianeta. Nel complesso, la parte di superficie terrestre che ha registrato tali anomalie è quasi raddoppiata rispetto alle condizioni preindustriali.
“Abbiamo scoperto che le condizioni eccezionali sono ora molto più frequenti e diffuse rispetto a prima, dimostrando chiaramente come le azioni umane abbiano cambiato lo stato del ciclo globale dell’acqua dolce”, spiega Vili Virkki dell’Università di Aalto e uno degli autori principali dello studio.