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Cetacei “a dieta” di ftalati anche nelle aree protette

Il WWF ha condotto una indagine all’interno di una ricerca durata 7 anni nel Santuario Pelagos, rivelando ampie tracce di ftalati nei tessuti dei cetacei che animano la zona

flatati nei cetacei

 

(Rinnovabili.it) – Quando era stato istituito, nel 1991, il Santuario Pelagos doveva essere una zona sicura nel Mediterraneo per le 12 specie di mammiferi marini che ne popolano le acque. La classificazione come Area Specialmente Protetta di Interesse Mediterraneo  richiede infatti un continuo impegno per la tutela e monitoraggio del patrimonio biologico. Peccato che la misura abbia fallito completamente sul fronte dell’inquinamento.

 

Ftalati, un pericolo invisibile a occhio nudo

Il WWF ha condotto una recente indagine all’interno di una ricerca durata 7 anni nel Santuario, rivelando ampie tracce di ftalati depositatisi nei tessuti dei cetacei che animano la zona. Si tratta di additivi chimici che vengono aggiunti alle materie plastiche per migliorarne la flessibilità e la modellabilità. Sono sostanze fortemente tossiche per la riproduzione animale, classificate anche come interferenti endocrini e per questo soggette ad alcune restrizioni in Europa, per lo più per quello che riguarda i prodotti destinati all’infanzia. Tuttavia, continuano a spopolare in packaging, tende da doccia, cavi, lacche, medicinali e cosmetici. La loro produzione a livello globale si aggira intorno ai 3 milioni di tonnellate l’anno.

 

E come i rifiuti polimerici in genere, i ftalati conoscono pochi confini, passare dalle case a mare e oceani è davvero questione di un attimo. Il Mediterraneo è classificato come la sesta regione del Pianeta con il più alto accumulo di detriti di plastica, con una stima tra 1000 e 3000 tonnellate di plastica – e una media di 115.000 particelle microplastiche per km quadrato – che galleggiano sulle sue acque superficiali.

 

L’inquinamento del Santuario Pelagos

In questo contesto non è quasi più una sorpresa scoprire l’elevata contaminazione dei cetacei a sostanze tossiche. I test effettuati su circa 100 esemplari, tra di balenottere comuni, capodogli e globicefali, hanno acceso un nuovo allarme, in concomitanza con la prima Ocean Conference ONU in corso in questi giorni a New York. Le femmine dei cetacei risultano meno contaminate degli esemplari maschi, per via dell’effetto di disintossicazione che avviene durante l’allattamento con cui però trasferiscono i propri contaminanti al piccolo.

La media di concentrazione del DEHP (lo ftalato più tossico) scoperta nei campioni di tessuto dei cetacei è di 1060 microgrammi per chilo, molto alta considerando che il livello ‘sentinella’ è di 300 microgrammi per chilo. Il fatto più grave è che, contrariamente ad altre sostanze tossiche, questi composti vengono metabolizzati rapidamente: questo dimostra quanto l’inquinamento per i cetacei che vivono nel Santuario Pelagos sia persistente. Inoltre, a differenza di globicefali e capodogli, il modo con cui si nutrono le balenottere, filtrando grandi volumi di acqua per estrarre il cibo, li rende particolarmente vulnerabili alla contaminazione da microplastiche.

 

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La contaminazione da plastica per balene, capodogli e globicefali che vivono nel Mare Nostrum – ha dichiarato Donatella Bianchi, Presidente di WWF Italiadovrebbe essere un segnale di avvertimento per la nostra salute. Già gli studi della professoressa Cristina Fossi, dell’Università di Siena, avevano dimostrato la forte concentrazione di microplastiche nell’area del Santuario Pelagos.  Ma l’inquinamento da sostanze chimiche rilasciati dalle plastiche è solo uno dei pericoli che corrono i nostri mari. Per questo vogliamo creare una GenerAzione Mare che sia consapevole dell’importanza del valore degli oceani e allo stesso tempo capace di difenderlo da chi continua a impoverirlo”.