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CCS e terremoti, esiste una correlazione da studiare

Secondo nuovo studio statunitense la tecnica di hydrofracking offre maggiori rischi per l'attività sismica se ad essere iniettati nel sottosuolo sono le acque reflue di perforazione

(Rinnovabili.it) – Secondo gli scienziati dell’US National Research Council c’è da stare attenti. Nascondere l’anidride carbonica industriale sotto “il tappeto” terrestre potrebbe dar luogo a piccoli ma significativi terremoti. I ricercatori hanno esposto il loro lavoro di ricerca sulle tecniche di perforazione del suolo in un nuovo rapporto che, più che dare una risposta chiara al dubbio che collega geosequestro della CO2 all’attività sismica, ha il compito di mettere in guardia. La relazione ha esaminato i siti americani in cui è stata impiegata la fratturazione idraulica o hydrofracking, la pratica che sfrutta la pressione dei fluidi per creare e propagare una frattura in uno strato roccioso e migliorare così la produzione del petrolio o dello shale gas. Gli autori hanno scoperto che il fracking di per sé comporta solo un basso rischio di provocare terremoti di magnitudo sufficiente alta da essere avvertita dall’uomo.

Tuttavia, la relazione riporta la prova che se iniettate nel sottosuolo delle acque reflue, sottoprodotto della perforazione, il rischio aumenta. Non è chiaro perché l’iniezione sotterranea delle acque reflue aggravi l’attività sismica, ma la scoperta ha chiare implicazioni per la tecnologia di cattura e stoccaggio del carbonio (CCS), dal momento che questo processo richiederebbe anche l’iniezione di grandi volumi di biossido di carbonio ad alta pressione. Gli scienziati affermano che “Le tecnologie progettate per mantenere un equilibrio tra la quantità di fluido che viene iniettato e quello che viene prelevato, come nel caso della geotermia, dello sfruttamento degli scisti bituminosi e del gas, sembra produrre un minor numero di eventi sismici indotti rispetto alle tecnologie che non mantengono l’equilibrio dei fluidi”.