Un team di 40 scienziati ha in mente di studiare rocce particolarmente adatte alla cattura del carbonio per rimuoverlo dagli oceani con le trivellazioni
(Rinnovabili.it) – Milioni di anni fa, un processo naturale spontaneo trasformò la CO2 in calcare e marmo. Oggi, un gruppo di geologi sta lavorando tra le montagne rosse di al-Hajjar, in Oman, per esaminare uno dei pochissimi tratti esposti di mantello terrestre che assorbe carbonio dall’aria. Scoprire il meccanismo che sovrintende a questo comportamento unico, per gli esperti, può significare acquisire le conoscenze per sviluppare tecnologie di cattura del carbonio in ambiente marino.
Mentre il mondo lavora per ridurre le emissioni, migliorando i sistemi di trasporto e dismettendo lentamente le centrali elettriche più inquinanti, un ramo della scienza sta puntando a nuovi sistemi di rimozione o riciclo del carbonio in aria o in acqua.
L’impianto geotermico Hellisheidi, in Islanda, inietta CO2 nella roccia vulcanica. L’enorme impianto di fertilizzazione Sinopec, in Cina, filtra e riutilizza il carbonio come combustibile. In tutto, 16 progetti industriali attualmente catturano e stoccano circa 27 milioni di tonnellate di carbonio, secondo l’Agenzia internazionale per l’energia. Peccato che si tratti di meno dello 0,1% delle emissioni globali. L’attività umana pompa infatti, ogni anno, circa 40 miliardi di tonnellate di anidride carbonica in atmosfera.
I canyon dell’Oman, profondi fino a 20 km, permettono al team di 40 scienziati dell’Oman Drilling Project di inoltrarsi nel cuore del pianeta, per studiare come le rocce siano riuscite a mangiare tanta CO2 in 90 milioni di anni, e capire se c’è modo di accelerare il processo. Nei minerali analizzati, ogni atomo di magnesio ha fatto amicizia con la CO2, dando origine a calcare, carbonato di magnesio e quarzo.
Il progetto, finanziato con 3,5 milioni da diverse realtà, tra cui la NASA, punta a trivellare i fondali oceanici in corrispondenza di zone del mantello ricche di questo genere di rocce, per far defluire l’acqua con alte concentrazioni di carbonio in questi buchi così che possa essere “filtrata” dall’anidride carbonica. Un’idea da scienziati pazzi, che i geologi sperano di vendere alle imprese energetiche, unico settore con esperienza di trivellazioni in mare aperto e, soprattutto, le tasche ben fornite.