Una enorme regione del pianeta è stata sconvolta da oltre 1.600 catastrofi naturali in soli 10 anni. Ma mancano ancora seri interventi di prevenzione
(Rinnovabili.it) – In dieci anni sono 1.625 le catastrofi naturali che hanno sconvolto la regione Asia-Pacifico, provocando mezzo milione di vittime e oltre mezzo trilione di danni. Il bilancio è stato tracciato dalle Nazioni Unite nel dossier presentato a Bangkok la scorsa settimana, intitolato Asia-Pacific Disaster Report. Cifre inquietanti, che secondo l’ONU indicano una scarsa propensione ad investire nell’adattamento ai cambiamenti climatici. È necessario, spiegano gli esperti dell’organizzazione, allocare maggiori risorse nella prevenzione dei danni piuttosto che spingere unicamente su progetti di mitigazione. Questi ultimi catalizzano una quota superiore di finanziamenti perché consentono un ritorno alle imprese, ma lasciano scoperto un ambito fondamentale. Senza operazioni di adattamento a condizioni climatiche più estreme, gli 1,4 miliardi di persone che nel periodo 2004-2014 hanno subìto le conseguenze delle catastrofi naturali vi resterebbero esposte anche nel futuro. Senza contare che i 523 miliardi di perdite economiche rappresentano un costo che, volente o nolente la politica si trova ad affrontare. Perché, dunque, non anticipare le peggiori conseguenze con l’aumento dei fondi per la prevenzione? È questa la domanda che sottende il rapporto ONU, che invita i governi della regione a investire di più nell’adattamento, dato che i rischi sono aggravati dalla rapida crescita economica e della popolazione.
«Costruire la resilienza non è una scelta o di lusso, ma una imperativo – ha detto Shamshad Akhtar, capo del Sviluppo regionale delle Nazioni Unite per l’Asia-Pacifico – Investire nella riduzione del rischio di catastrofi è necessario, ma allo stesso tempo trascurato».
Il rapporto rileva che parte dei 772 milioni di poveri della regione è particolarmente vulnerabile ai disastri naturali, e tende a vivere in aree a rischio a rischio come baraccopoli, ripidi pendii, pianure alluvionali e argini dei fiumi. Si tratta di gruppi sociali che non possiedono le risorse per prendere misure preventive, comunità che non possiedono nemmeno risparmi cui attingere in caso di catastrofe. Si tratta dunque di centinaia di milioni di famiglie senza alcun mezzo per attutire l’impatto degli eventi meteorologici estremi che si faranno sempre più frequenti al crescere del riscaldamento globale. Tutto ciò innesca fenomeni migratori colossali: nel solo 2014, 20 milioni di persone sono state costrette a spostarsi a seguito delle devastazioni causate da fenomeni quali inondazioni, alluvioni e tornado.
Gli aiuti internazionali per le catastrofi naturali hanno raggiunto la cifra di 28 miliardi di dollari nel periodo 2004-2013, ma la maggior parte di essi è servita a finanziare interventi di emergenza e ripristino.