(Rinnovabili.it) – L’accordo sul clima che si raggiungerà alla COP 21 sarà ambizioso, anche se non vincolante. Non solo, ma vi sono le premesse per raggiungere un buon compromesso anche su un altro nodo cruciale del negoziato: i finanziamenti climatici volti a favorire la mitigazione e l’adattamento dei Paesi più poveri e privi di mezzi. Ne è convinto Carlo Carraro, direttore del International Centre for Climate Governance (ICCG). Esperto di economia ambientale, Carraro è stato Lead Author del Third Assessment Report dell’IPCC. Nel 2008 è stato eletto vice presidente del Working Group III e membro del Bureau del Comitato intergovernativo per i cambiamenti climatici.
Gli Stati Uniti hanno anticipato che non firmeranno alcun trattato vincolante alla Conferenza ONU sul clima. Ritiene sia ragionevole, con queste premesse, raggiungere l’obiettivo IPCC di riduzione delle emissioni dell’80-95% entro il 2050 rispetto ai livelli del 1990?
La posizione degli Stati Uniti è puramente tecnica e non è indice di una volontà politica riluttante ad impegnarsi per ridurre le emissioni di gas ad effetto serra. Anzi, proprio per poter mantenere gli ambiziosi impegni sottomessi a Parigi, l’amministrazione Obama ha deciso di percorrere una politica che eviti la ratifica dell’accordo da parte del Congresso. Il fatto che tecnicamente l’accordo di Parigi risulti non vincolante è proprio la condizione che permetterà agli Stati Uniti di agire in maniera efficace.
Quanto, ai target, la COP 21 si pone un obiettivo di riduzione al 2030. Il totale delle riduzioni previste al 2030 non è ancora in linea con la necessità di stabilizzare le concentrazioni di gas serra in modo che la temperatura media globale non salga oltre i 2 °C a fine secolo, ma è comunque un grande passo avanti nella giusta direzione.
Il valore aggregato dei mercati del carbonio è passato dagli 11 miliardi di dollari del 2005 ai 176 miliardi del 2015. Secondo alcune stime, nel 2030 il loro valore potrebbe salire a 10 trilioni di dollari. Dato che fino ad oggi le emissioni globali non sono mai diminuite, è lecito considerare i carbon markets degli strumenti utili ad ottenerne una riduzione?
Sicuramente sì. Il valore sale perché sempre più Paesi hanno adottato questo strumento, il cui grande vantaggio è proprio quello di mettere un cap certo ai gas serra. È quindi il mezzo ideale per ridurre le emissioni. L’incertezza riguarda solo il prezzo a cui vengono scambiati i permessi.
Uno dei “punti caldi” del negoziato climatico è rappresentato dai fondi che le nazioni sviluppate dovrebbero destinare all’adattamento dei Paesi in via di sviluppo. Vi sono le condizioni, a suo parere, per raggiungere su questo punto un accordo in grado di evitare fenomeni migratori di massa, limitando al contempo l’eccessiva interferenza del settore privato? E perché?
Il green climate fund servirà sia per la mitigazione sia per l’adattamento. È sicuramente un punto caldo, ma ci sono le premesse perché l’accordo sia raggiunto. Ad oggi, circa il 60% dei 100 miliardi di dollari di cui dovrebbe essere costituito il fondo è stato raccolto (almeno in termini di impegno). Anche questo è un primo passo importante, seppur non ancora sufficiente. Ciò che conta, tuttavia, non sono i fondi addizionali per la mitigazione e l’adattamento, ma il ridirezionare i 4-6 miliardi che vengono spesi ogni anno in infrastrutture energetiche, urbane e nei trasporti, verso soluzioni tecniche e organizzative climate friendly.