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Di chi è il carbone mondiale?

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Nove azionisti su dieci nel settore del carbone si trovano in Asia

 

I dati diffusi tramite il rapporto “Who owns the world’s coal?” permettono di ricostruire nel dettaglio le catene di proprietà di carbone termico, mappano i legami tra le miniere, le imprese che bruciano il combustibile e gli azionisti che le possiedono. Una filiera niente affatto virtuosa, che sta contribuendo ad inquinare l’atmosfera e gli ecosistemi. Secondo il rapporto migliaia gli azionisti di 117 società quotate che producono 3 miliardi di tonnellate di carbone termico l’anno e possono contare su 150 miliardi di tonnellate di riserve.

Nel complesso, il valore azionario è di circa 185 miliardi di dollari, ed è concentrato per l’87% in Cina e India. Seguono gli Stati Uniti, con il 6,5%, dove il nuovo presidente Trump ha ridato impulso al settore. Al terzo posto l’Europa, con il 2,4%. In generale si tratta di governi, singoli individui, società di scopo e compagnie energetiche, in un trend che negli ultimi anni ha visto un forte spostamento delle quote dal Nord America e dall’Europa verso il continente asiatico.

 

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Tutto ciò a seguito di un progressivo disinvestimento da parte di fondi pensione, stati, banche e altri soggetti che in Occidente sono stati spinti per varie ragioni ad abbandonare gli asset nel carbone. Ad esempio, il fondo sovrano norvegese e altri due in California, per un totale di 1,4 trilioni di dollari, hanno drasticamente ridotto la loro esposizione al carbone negli ultimi sette anni.

Dylan Tanner, direttore esecutivo di InfluenceMap ha commentato i risultati della ricerca: «È evidente che, per una serie di motivi, il carbone termico è diventato un investimento non conveniente negli ultimi cinque anni, sia per gli asset manager tradizionali che per i proprietari».

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