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Una perdita di carbone minaccia la Grande Barriera Corallina

Una perdita di carbone minaccia la Grande Barriera Corallina

Una perdita di carbone minaccia la Grande Barriera Corallina

 

(Rinnovabili.it) – Il terminal australiano di Hay Point, dove il carbone viene imbarcato per l’export, sta inquinando il mare e mette a rischio la Grande Barriera Corallina. Uno strato di sottili polveri nere ricopre già le spiagge di East Point e Louisa Creek, che si trovano a poca distanza dal porto, sulla costa orientale dell’Australia. Le autorità statali stanno procedendo alle verifiche del caso per impedire che un nuovo disastro ambientale si abbatta sul reef, già messo a durissima prova dallo sbiancamento dei coralli e dal riscaldamento globale.

Hay Point è il più esteso e frequentato dei terminal situati a ridosso della Grande Barriera Corallina. Dai sui moli partono decine di milioni di tonnellate di carbone ogni anno. Una situazione che è da tempo denunciata dagli ambientalisti, proprio perché in caso di incidente i danni alla barriera, Patrimonio dell’Umanità Unesco, possono assumere proporzioni devastanti.

 

Le autorità cercano di sminuire la portata dell’evento. “L’impatto sulla vita marina e sulla barriera è probabilmente molto localizzatoassicura il ministro dell’Ambiente Steven MilesSe l’origine dello sversamento può essere identificata e possiamo assicurare che questo non si protragga, dovrebbe essere possibile ripulire”. Affermazione fin troppo densa di se e condizionali, soprattutto perché la situazione non era affatto imprevedibile. Per il momento, nessun piano di contenimento è stato presentato, né si hanno informazioni sulla reale entità del danno.

Pur di non toccare l’industria del carbone, l’Australia ha fatto letteralmente carte false per non doversi spendere troppo nella salvaguardia della barriera. Quest’anno si è verificato il più potente fenomeno di sbiancamento dei coralli mai registrato. A causa del riscaldamento globale e del concomitante sviluppo di El Nino, gran parte della barriera è stata colpita gravemente. Uno studio di pochi mesi fa certifica, con indagini sul campo, che nei settori meridionali del reef – i più incontaminati, fino ad ora –  è morto il 67% dei coralli. Per evitare che l’Unesco inserisse la barriera tra i siti a rischio, l’Australia ha raddoppiato i fondi destinati alla protezione ambientale. Ma sono soltanto 2,3 mld di dollari, mentre ne servirebbero almeno 10 per garantire il recupero dei coralli sotto stress. E, soprattutto, nulla è stato fatto riguardo alla prevenzione dell’inquinamento. Il governo non ha la minima intenzione di danneggiare i suoi interessi economici, carbone in primis.

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