(Rinnovabili.it) – Il calo della domanda globale e la concorrenza delle rinnovabili rendono le miniere di carbone termico australiane uno dei più rischiosi investimenti al mondo.
L’affermazione viene da un rapporto dell’Università di Oxford, che ha indicato anche gli impianti australiani, cinesi e statunitensi a carbone come i più vulnerabili. I ricercatori hanno valutato l’esposizione a una serie di rischi ambientali delle prime 100 utilities del carbone e delle 20 principali imprese attive nel settore del carbone termico. Tali rischi comprendono le politiche sui cambiamenti climatici, lo stress idrico, l’inquinamento atmosferico e la concorrenza delle fonti rinnovabili.
Ben Caldecott, autore principale del report, ha detto che gli investitori dovrebbero essere molto cauti nel sostenere progetti connessi a miniere di carbone termico in Australia.
Le miniere australiane presentano un alto livello di rischio a causa della loro dipendenza dalle esportazioni. L’Australia, infatti, esporta una quantità di carbone più che tripla rispetto a quella che consuma localmente. Questo significa che è quasi interamente in balia del mercato globale, in cui la domanda sta calando. Altri fattori che contribuiscono ad aumentare il rischio di investimento nel settore sono le proteste degli attivisti e nuove potenziali regolamenti restrittivi. Senza contare la concorrenza spietata che le fonti rinnovabili stanno facendo al carbone. I ricercatori spiegano che la crescita del fotovoltaico, insieme ad un calo generalizzato della domanda di energia, sta innescando una “spirale letale” per le utilities del carbone.
Una simile spirale si verifica quando lo sviluppo di fonti di energia come quella solare, in particolare gli impianti domestici, porta un numero di persone sempre maggiore a condividere i costi di manutenzione della rete elettrica tradizionale. Tutto ciò spinge ancora più in alto i costi dell’energia fossile e rende, viceversa, ancora più conveniente passare alle rinnovabili.
Caldecott ha deciso di accostare alle relazioni societarie tutte le informazioni che è riuscito a reperire sui loro assets, e ha paragonato la mancanza di informazioni facilmente accessibili a quella che ha permesso la crisi finanziaria del 2008: «Gli investitori non hanno praticamente nessuna idea circa le vere prestazioni ambientali delle aziende di loro proprietà», sostiene. Un fatto che non lascia ben sperare.