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Carbone: niente più crediti all’esportazione dall’OCSE

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(Rinnovabili.it) – Un accordo raggiunto ieri in seno all’OCSE dovrebbe portare i Paesi ricchi a interrompere i crediti all’esportazione erogati a molte centrali a carbone ritenute inefficienti. A subirne le conseguenze saranno soprattutto gli impianti in costruzione nelle economie emergenti, in particolare quelli altamente inquinanti del sud est asiatico.

A far fiorire un accordo più ampio è stata la stretta di mano del mese scorso tra il Giappone, il più grande esportatore di questa tecnologia, e gli USA. Corea del Sud e Australia, gli ultimi governi recalcitranti, sono saliti a bordo dopo aver chiesto qualche concessione. In vista della COP 21, la conferenza sul clima dell’UNFCCC che si aprirà a Parigi il 30 novembre, questo accordo è ritenuto soddisfacente.

Secondo Steve Herz di Sierra Club, che ha seguito da vicino i negoziati, si tratterebbe di «un significativo passo avanti per la diplomazia internazionale sul clima. Ora c’è il consenso dei Paesi sviluppati sul fatto che non è giusto continuare a sovvenzionare l’esportazione della tecnologia del carbone con parametri di business as usual».

 

Carbone niente più crediti all’esportazione dall’OCSELa categoria più efficiente di carbone vegetale, quella definita ultrasupercritica (che consente una produzione elettrica più elevata a fronte di un minore consumo di carbone), potrà ancora godere di questa forma di sussidio. Tuttavia, secondo l’osservatore di Sierra Club, almeno 300 grandi centrali supercritiche in cantiere non dovrebbero più beneficiarne.

I Paesi membri dell’OCSE hanno anche stabilito di riesaminare questo accordo nel 2019, nell’ottica di estendere il veto su questi incentivi indiretti a tutto il settore del carbone. Sarebbe una vittoria, dal momento che i governi che aderiscono all’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico hanno speso circa la metà dei 73 miliardi di dollari finiti in crediti all’esportazione di carbone negli ultimi 7 anni. I dati li ha riferiti un recente rapporto prodotto da Oil Change International, WWF e Natural Resources Defense Council.

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