(Rinnovabili.it) – Una vasta gamma di colture alimentari colpite dagli effetti del cambiamento climatico sta generando in quantità troppo elevata una serie di composti chimici potenzialmente tossici per l’uomo e gli animali. È la loro reazione naturale che producono nel tentativo di proteggersi da condizioni meteorologiche estreme, ma tutto ciò può ripercuotersi negativamente sulla sicurezza alimentare e la salute globale.
È una sorta di nemesi quella descritta dal recente rapporto dell’UNEP, il Programma ambientale delle Nazioni Unite, che mette in evidenza come le attività umane abbiano causato un mutamento del sistema climatico che si ritorce a discapito delle società stesse.
«Le colture stanno rispondendo a condizioni di siccità e aumento della temperatura proprio come fanno gli esseri umani di fronte a una situazione di stress», ha spiegato Jacqueline McGlade, direttrice della Divisione di Early Warning and Assessment dell’UNEP.
In condizioni normali, le piante trasformano i nitrati che assorbono in aminoacidi nutrienti e proteine. Ma la siccità prolungata rallenta o impedisce questa conversione, portando ad un accumulo di nitrati nei vegetali, spiega il rapporto. Le colture a rischio includono mais, frumento, orzo, soia, miglio e sorgo. Quantità troppo alte di nitrati nell’organismo possono interferire con la capacità dei globuli rossi di trasportare ossigeno.
Se colture esposte a rigide siccità vengono inondate da forti piogge – una situazione sempre più comune nei luoghi del mondo più esposti al cambiamento climatico – accumulano acido cianidrico, più comunemente conosciuto come acido prussico. Questa sostanza è stata utilizzata nella prima Guerra Mondiale per il suo potere immediatamente mortale se concentrato, altrimenti incapacitante. Causa vertigini, mal di testa, dolori polmonari. Piante come la manioca, il lino, mais e sorgo sono più vulnerabili al pericoloso accumulo di acido prussico: casi di avvelenamento da nitrati o acido cianidrico negli esseri umani sono stati segnalati in Kenya nel 2013 e nelle Filippine nel 2005.
Le aflatossine, muffe che possono svilupparsi sulle colture vegetali e aumentare il rischio di danni al fegato, cancro, cecità, blocco della crescita di feti e neonati, si stanno diffondendo in aree sempre più ampie. Circa 4,5 miliardi di persone nei Paesi in via di sviluppo sono esposti ai loro effetti ogni anno, secondo l’UNEP. Con il riscaldamento globale, questi pericoli si sono diffusi anche ai continenti più sviluppati, come l’Europa: nei prossimi anni le Nazioni Unite stimano che potrebbero avere pesanti ricadute sul sistema sanitario.