Nel 2013 sono stati investiti nell'energia pulita 331 miliardi di dollari, numeri lontani dalle stime della IEA per far fronte al cambiamento climatico
(Rinnovabili.it) – Tenere lontani gli impatti più gravi del cambiamento climatico investendo in energie rinnovabili è un atto di buon senso. Ma un nuovo studio mostra come gli investimenti globali stiano ancora languendo, e suona un campanello d’allarme in vista della COP 20 di Lima, su cui il sipario si alzerà a inizio dicembre. La ricerca si intitola annual Global Landscape of Climate Finance report, e l’ha pubblicata il Climate Policy Initiative (CPI). Racconta che nel 2013 sono stati investiti in energia pulita 331 miliardi di dollari: una bella cifra, ma vista in prospettiva smorza un po’ gli entusiasmi. Infatti si tratta di 28 miliardi in meno rispetto al 2012, che diventano 33 se comparati con il 2011. Numeri molto lontani, inoltre, dalle stime della IEA (International Energy Agency), che ha indicato in mille miliardi di dollari annui la cifra utile a mantenere l’aumento delle temperature sotto i 2 °C.
L’investimento privato, come emerge dai dati del CPI, supera quello pubblico: il 58 per cento dei finanziamenti climatici viene da imprese che non sono di proprietà dello Stato. Sono 191 miliardi di dollari, che vanno tutti alle rinnovabili. In genere, il 90 per cento del finanziamento in dollari, euro, franchi svizzeri e yen viene impiegato per investire nelle clean energy, mentre il restante 10 per cento è utilizzato per interventi di adattamento. La differenza si spiega con le maggiori possibilità di ritorno economico offerte dalla prima soluzione, grazie anche agli incentivi governativi e alle politiche favorevoli all’investimento privato nel campo dell’impiantistica rinnovabile messe in atto dagli Stati.
«Il nostro lavoro dimostra che quando il pubblico è in grado di tenere in equilibrio la bilancia dei rischi e benefici, i privati sono invogliati a spendere, dichiara Barbara Buchner, l’economista che guida il CPI’s climate finance program».
In parte, la spiegazione del calo della “climate finance” si spiega anche con l’abbassamento dei costi dei pannelli solari, che ha permesso alle compagnie di fare di più spendendo di meno. Nel 2013 infatti le installazioni sono cresciute del 30 per cento rispetto all’anno precedente, ma le spese private in conto capitale hanno subito una contrazione del 14 per cento. Il calo dei costi della tecnologia impatta per l’80 per cento su quello dell’investimento privato.
Gli stanziamenti finanziari, rileva il report, sono equamente distribuiti fra Paesi sviluppati ed economie emergenti, a dimostrazione del fatto che non esiste un’area o una nazione “formica” e tante “cicale”. La gran parte del denaro, inoltre, di solito viene investito all’interno dello Stato di appartenenza: i contributi esterni coprono solo una minima parte della finanza climatica.