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Il cambiamento climatico innescherà una crisi economica peggiore del 2008

Pubblicato un report che mette in relazione crisi climatiche ed economiche: se il sistema naturale dovesse crollare, quello sociale ne seguirebbe il corso.

crisi climate changeI ricercatori avvertono: non sottovalutare l’effetto domino innescato dai cambiamenti climatici

 

(Rinnovabili.it) – Il complesso di cambiamenti climatici e naturali causati dall’uomo potrebbe causare un collasso economico a livello di sistema equiparabile alla crisi del 2008: questa la conclusione cui arriva il report annuale pubblicato dall’Istituto di Ricerca sulle Politiche Pubbliche (IPPR), un thinktank di stampo democratico vicino al partito laburista britannico.

Secondo lo studio, la combinazione di riscaldamento globale, infertilità del suolo, la perdita di biodiversità (in particolare degli insetti cui si deve l’impollinazione), gli sversamenti chimici e l’acidificazione degli oceani sta creando un “nuovo settore di rischio economico” ampiamente sottovalutato dai decisori politici.

 

La ricerca “This is a Crisis: Facing up to the Age of Environmental Breakdown” rappresenta una delle prime riflessioni organiche sull’interazione tra fenomeni interconnessi al cambiamento climatico ed economie locali e internazionali: gli autori hanno osservato come il deterioramento delle infrastrutture naturali, come ad esempio la disponibilità di terre fertili, abbia un impatto sulla salute, il benessere, l’ingiustizia sociale e persino le migrazioni, aspetti che possono avere grande influenza nel determinare tensioni politiche e sociali.

 

Lo studio pone attenzione su una serie di segnali del deterioramento del sistema naturale: dal 2005, il numero d’inondazioni è aumentato del 15%, l’occorrenza di temperature estreme del 20%, quella di incendi del 7%; i terreni fertili vengono consumati dalle 10 alle 40 volte più rapidamente rispetto al loro reintegro; i 20 anni più caldi dal 1850 sono occorsi negli ultimi 22 anni, le forme di vita vertebrata sono diminuite del 60% degli anni ’70 e gl’insetti, essenziali per l’impollinazione, rischiano di scomparire entro un secolo.

 

Se la crisi del 2008 esplose dopo il crollo di alcuni grandi istituti di credito e assicurazione statunitensi, secondo lo studio dell’IPPR, l’eventualità di danni sempre più ingenti dovuti da uragani e l’occorrere di incendi sempre più dannosi potrebbe portare il popolo americano a stressare il sistema assicurativo e di conseguenza quello finanziario. Un’eventuale nuova crisi partita dagli States troverebbe terreno fertile anche in Europa e nel resto del mondo proprio a causa dei problemi climatici.

 

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Particolarmente vulnerabile il sistema di approvvigionamento alimentare: il rapporto sottolinea come il 75% degli alimenti consumati a livello mondiale provengano da appena 12 specie vegetali e 5 animali. In un altro studio, l’IPPR stima in un 5% la possibilità che la produzione di mais di Cina e USA (detentori del 60% del mercato) possa collassare nei prossimi 10 anni.

 

Le migrazioni sono un altro dei fenomeni destinati ad aumentare in relazione a siccità e caldo estremo, in particolare nel medio oriente e in Africa. Le prossime crisi climatiche potrebbero causare un flusso migratorio fino a 10 volte superiore rispetto a quello innescato dalla primavera araba.

 

Già altri studi scientifici avevano chiesto maggiori attenzioni per il potenziale “effetto domino” innescato da diversi fattori di rischio climatico: anche il recente World Economic Forum di Davos ha individuato nel clima estremo, nel fallimento delle politiche ambientali e nei disastri naturali 3 dei maggiori rischi a livello globale (ma in questa drammatica top 10 erano considerati anche scarsità di risorse idriche, perdita di biodiversità e migrazione forzata).

“La gente non è abbastanza sincera a proposito di tutto questo – ha concluso Laurie Laybourn-Langton, principale autrice della ricerca – Se davvero ne discutessimo, sarebbe uno di quegli argomenti che menzioneremmo al termine di qualsiasi conversazione, che costringe gli interlocutori a tenere gli occhi bassi, e invece sembra quasi che non abbiamo tempo per parlarne. Al momento è un argomento trattato solo dai media, mentre noi non stiamo facendo abbastanza per affrontarlo”.