È stato reso pubblico il piano di Pechino sul cambiamento climatico che tutto il mondo attendeva. Eccone tutti i dettagli e le criticità in vista della COP 21
(Rinnovabili.it) – L’impegno della Cina per la COP 21 è arrivato. Lo attendeva tutto il mondo, non foss’altro perché il Paese oggi è il primo emettitore di gas serra del mondo, quello che più contribuisce al cambiamento climatico. Si può consultare sul sito dell’UNFCCC, nell’area che raccoglie tutti gli INDCs (Intended Nationally Determined Contributions) presentati fino ad oggi.
Da oggi, grazie al contributo del Dragone, i piani per il taglio della CO2 coprono oltre il 50% delle emissioni di gas serra globali.
Il premier cinese Li Keqiang ha ribadito ai leader europei ieri a Bruxelles la determinazione della sua nazione a lavorare con la comunità internazionale per cercare un approccio «equo, ragionevole, win-win» per la mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici.
Frasi ambigue, che lasciano aperte tutte le criticità già evidenziate più volte dai negoziati. Un approccio win-win potrebbe portare a compromessi al ribasso o a uno stallo delle trattative, a scapito dei Paesi più poveri che rischiano gli effetti più impetuosi del riscaldamento globale.
Tuttavia, è positivo il fatto che la Cina si sia unita all’ONU svelando la sua strategia con qualche anticipo rispetto all’avvio dei negoziati UNFCCC di Parigi. I piani sul clima di Pechino potranno ora essere messi sotto la lente di ingrandimento, e l’analisi potrà dar adito a previsioni sull’esito delle trattative di dicembre.
Focus: l’INDC cinese sul cambiamento climatico
La promessa di base è rimasta quella resa pubblica lo scorso novembre, nell’accordo verbale Cina-USA a margine del vertice economico Asia-Pacifico. Esso prevede che il Paese raggiunga il tetto di emissioni entro il 2030, per poi cominciare il trend discendente. I critici non sono soddisfatti di una simile premessa, dato che, così facendo, Pechino si arroga il diritto di far crescere la concentrazione di gas serra in atmosfera per altri 15 anni. Il premier Li Keqiang ha lasciato aperto uno spiraglio con la dichiarazione di ieri: «La Cina lavorerà duramente per raggiungere l’obiettivo prima di quella data».
Nel dettaglio l’idea è ridurre, entro il 2030, il tasso di emissioni per unità di Pil del 60-65% rispetto ai livelli del 2005. Il gigante asiatico intende anche aumentare la componente di energie rinnovabili nel mix energetico, fino a raggiungere il 20% nel 2030. In particolare, la Cina prevede di aumentare la sua capacità installata di energia eolica fino a 200 GW (oggi è a 95.81). Per quanto riguarda il fotovoltaico, l’intenzione è arrivare a circa 100 GW (oggi sono 28). Parallelamente, crescerà anche l’uso di gas naturale, fino a raggiungere oltre il 10% del consumo di energia primaria entro il 2020. C’è poi il progetto di estendere il mercato del carbonio, che oggi riguarda soltanto 7 provincie e 42 città nel Paese, a tutto il territorio nazionale già nel 2016.
La comodità essere sempre “in via di sviluppo”
Nel documento presentato alle Nazioni Unite, la Cina non manca di ricordare che i risultati dei negoziati di Parigi «dovrebbero tener conto di responsabilità storiche differenziate», ribadendo la retorica che da anni porta avanti durante i vertici climatici: i Paesi sviluppati hanno messo più carbonio in atmosfera, nel corso del tempo, rispetto ai Paesi in via di sviluppo. Ecco perché la comunità internazionale dovrebbe avere pazienza nei confronti della Cina, che per raggiungere gli standard occidentali di benessere, “deve” poter inquinare ancora un po’. Tuttavia, secondo il Climate Group, questa posizione non ha più ragion d’essere. Il massiccio sviluppo economico cinese ha portato il Paese ad un passo dalla quantità di emissioni (incluse quelle del passato) degli Stati Uniti.