Gli scienziati climatici ragionano sull’introduzione di nuova categoria per misurare gli uragani
Il riscaldamento globale sta rendendo i sistemi tempestosi non solo più frequenti ma anche più violenti. Al punto che un gruppo di scienziati sta valutando l’opportunità di aggiungere un’ulteriore categoria a quelle già in essere per identificare quelli più intensi e distruttivi.
Il National Hurricane Center, che monitora e dirama gli avvisi di pericolo sugli uragani nell’Oceano Atlantico e nell’Oceano Pacifico orientale, dal 1969 utilizza la scala Saffir-Simpson (dal nome di Herbert Saffir e Robert Simpson, i due scienziati statunitensi che la misero a punto) per misurarne l’intensità. La scala è suddivisa in cinque categorie che tengono conto della velocità del vento e dell’intensità dei danni che possono causare.
Si va dalla categoria 1 (velocità del vento tra 119 e 153 km/h) – che causa danni limitati con onde alte entro 1,5 metri limitate inondazioni delle zone costiere – alla categoria 5 (velocità del vento di 252 km/h o superiore) che invece provoca danni gravissimi (ad esempio, inondazioni delle zone costiere, onde superiori a 6 metri e obbligo di evacuazione dei residenti delle zone costiere pianeggianti fino a 16 km nell’entroterra).
Il cambiamento climatico, tuttavia, in un certo senso ha cambiato le carte in tavola.
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Cambiamento climatico e intensità degli uragani
L’aumento delle temperature oceaniche origina uragani sempre più violenti e distruttivi al punto che gli scienziati del clima Michael Wehner del Lawrence Berkeley National Laboratory (Berkeley Lab) e James Kossin di First Street Foundation si sono domandati se la categoria 5 sia ancora sufficiente a classificare uragani ancora più intensi e distruttivi e quindi a comunicare i rischi a cui si va incontro.
Il loro studio The growing inadequacy of an open-ended Saffir–Simpson hurricane wind scale in a warming world è pubblicato in “Proceedings of the National Academy of Sciences” (PNAS).
Il punto debole della scala Saffir-Simpson, secondo i due studiosi, è quello di essere una scala aperta, ovvero non si estende oltre la scala 5 a prescindere dall’intensità e velocità del vento.
Tuttavia, il potenziale distruttivo del vento aumenta in modo esponenziale e purtroppo il riscaldamento globale aumenta l’energia termica e con essa la potenza degli uragani.
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Non sottostimare il rischio
Wehner e Kossin Hanno analizzato i dati storici del periodo 1980-2021. Rientrerebbero in una ipotetica categoria 6 (vento superiore a 300 Km/h) cinque uragani che si sono verificati negli ultimi nove anni a causa del riscaldamento delle temperature oceaniche. Per i due studiosi, inoltre, nella classificazione di distruttività, oltre al vento si dovrebbero inserire temporali e inondazioni. Diversamente, si finisce per sottostimare il rischio.
Inoltre, esaminando le velocità del vento simulate e potenziali, ritengono che con l’aumento della temperatura globale sia prevedibile il verificarsi di uragani sempre più violenti.
Oltre a studiare il passato, Wehner e Kossin hanno fatto delle simulazioni per capire come il riscaldamento climatico possa influire sull’intensificazione degli uragani.
I loro modelli hanno dimostrato che con due gradi Celsius di riscaldamento globale al di sopra dei livelli preindustriali, il rischio di tempesta di categoria 6 aumenta fino al 50% vicino alle Filippine e raddoppia nel Golfo del Messico, e che il rischio più elevato di queste tempeste si trova nel sud-est asiatico.
Il dato incontrovertibile è che il riscaldamento globale di origine antropica ha aumentato in modo significativo la temperatura superficiale dell’oceano e dell’aria troposferica nelle regioni in cui si formano e si propagano uragani, cicloni tropicali e tifoni, fornendo ulteriore energia termica per l’intensificazione delle tempeste.